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LA MINIERA DI PIOMBO ARGENTIFERO DI CASTELNUOVO DI CEVA NELLE ALPI MARITTIME, E LA SUA STORIA

 

 

 

Giuseppe Pipino  
LA MINIERA DI PIOMBO ARGENTIFERO
DI CASTELNUOVO DI CEVA
NELLE ALPI MARITTIME, E LA SUA STORIA

 

Le Alpi Marittime sono in gran parte costituite dalla così detta “Falda del Gran San Bernardo” che comprende un complesso di rocce cristalline e carbonatiche molto metamorfosate, di età compresa tra il Permiano e il Carbonifero medio (Basamento pre-wastfaliano), un complesso di rocce parasedimentarie e conglomeratiche paleozoiche con effusioni vulcaniche più recenti (Permo-carbonifero assiale), e un complesso di rocce flyscioidi e carbonatiche triassiche di copertura (Zona Brianzonese).  All’interno della Falda sono sporadicamente presenti piccoli nuclei cristallini precarboniferi, prevalentemente granitici, e frequenti sono anche corpi, più o meno estesi, di calcescisti e rocce verdi, che ad est costituiscono il Gruppo di Voltri e che, procedendo verso ovest lungo l’arco alpino, assumono sempre maggiore estensione, fino a costituire la “Zona Piemontese”. 

Nelle rocce filladiche e porfiritiche del Permiano, specie al contatto tettonico con la copertura carbonatica triassica e con rocce ofiolitiche, sono spesso presenti limitate mineralizzazioni metallifere costituite da ammassi stratiformi e filoni discordanti, a ganghe quarzose, carbonatiche, baritiche e/o fluoritiche, con blenda, galena argentifera e pirite, alle quali si associano localmente calcopirite pirrotite, arsenopirite, bornite, tetraedrite e minerali di ferro e di rame d’alterazione. Anche l’oro è localmente presente, in tracce prevalentemente contenute nella pirite e altri solfuri, talora allo stato nativo nella zona di alterazione superficiale: una analisi del minerale di Priola, eseguite nel corso di ricerche minerarie, aveva evidenziato un contenuto di 0,15 ppm (o gr/T), “…alcune scagliette d’oro” erano state trovate “…in uno dei rivi che attraversano il giacimento”, mentre nel Tanaro, fra Ceva e Lesegno, erano stato raccolto “…circa mezzo grammo d’oro, parte del quale in scagliette con diametro superiore al millimetro” (PIPINO 1981, pag. 37).  

Non a caso si registra la presenza, poco a monte di Ceva, della località Valoria, toponimo  diffusissimo in tutto il Piemonte, già indicato in documento medievali e, spesso, legato a sicure presenze aurifere e ad antica raccolta: è il caso, ad esempio, del torrente Stura di Ovada e della bassa Val d’Orba (PIPINO 2014, pag. 15).  

 Agli inizi del ‘500 Raffaele da Volterra affermava che nel fiume Tanaro “…Antonino Trotti, cavaliere alessandrino, raccoglie pagliuzze d’oro con le quali è fatta la collana che porta” (VOLATERRANI 1511, F. XXXV v.): questa citazione va ovviamente riferita alla bassa valle, dove l’oro si trova in particelle minuscole, e può anche riferirsi all’Orba, torrente notoriamente aurifero tributario della Bormida che confluisce subito nel Tanaro, tenuto anche conto che “il cavaliere alessandrino” era di Casal Cermelli. Per DELLA CHIESA (1635, pag. 10) l’oro si raccoglieva in tutto il corso del Tanaro, “…massime nel marchesato di Ceva”. Le mie ricerche avevano accertato tale presenza, sotto forma di particelle minutissime fin oltre Alba, più consistenti nei pressi di Ceva (PIPINO 1981, pag. 37).

Le mineralizzazioni primarie più note, oggetto di antiche coltivazioni, si trovano nel Savonese marittimo (Balestrino, Giustenice, Rialto, Montagna, Segno, Quiliano Argentiera di Savona), nelle alte valli del fiume Bormida (Bormida, Bardineto, Calizzano, Murialdo, Cosseria), nell’alta valle del fiume Tanaro (Ormea, Garessio, Priola) e dei suo affluenti montani (Perlo, Castelnuovo di Ceva, Priero, Lisio, Viola, Pamparato, Roburent, Monasterolo, Mombasiglio, Frabosa sottana, Peveragno).

E’ possibile che alcune delle manifestazioni siano state oggetto di sfruttamento in epoca preistorica, ma mancano precise attestazioni e testimonianze materiali. Per quanto riguarda il territorio ligure, le prime evidenze descritte per la manifestazione di Murialdo-Pastori (PIPINO 2005) diedero l’avvio a collaborazioni con la Soprintendenza Archeologica della Liguria, sfociate in alcune pubblicazioni riguardanti l’alta valle Bormida (PIPINO 2007) e il “castelliere” di Bergeggi (DELFINO e PIPINO 2009).  

Per l’alto Medioevo, al momento è solo ipotizzabile l’interesse  per il giacimento di Viola, dove nel 1262 è attestata la località “piombera” (PIPINO 2010, pag. 11). Per il Medioevo più basso si hanno precise testimonianze storiche di coltivazione della “miniera” di Rialto (PIPINO 2015). Per le altre manifestazioni, specie per quelle dell’alta Val Tanaro, testimonianze storiche certe iniziano nel XVI secolo e alcune potrebbero riguardare il giacimento di Castelnuovo, seppure non specificamente indicato.

Un documento della Famiglia Ceva, raccolto con altri nella Biblioteca Universitaria di Genova, attesta che il 19 agosto 1579 fu rilasciata, al marchese Agamennone di Ceva, la concessione per scavare “certe miniere”, delle quali aveva avuto notizia (v. copia).  Fra il 1678 e il 1679,  “ Il sacerdote Francesco Peyre, che ha iniziato lo scavo di alcune miniere nei territori di Lisio, Priola e Garessio…si obbliga a versare al duca (Carlo Emanuele II di Savoia) 3.000 lire all’anno per il privilegio di scavare miniere nel Marchesato di Ceva…si impegna a versare il 5% del minerale estratto, rimettendosi alla generosità del duca per l’esenzione nei primi anni, come d’uso, o a consentirgli di entrare in società dopo la verifica dei filoni scoperti “ (PIPINO 2003, pag. 76; 2010, pag. 120).  Il 9 marzo 1702 Gaspare Deriva e figlio ottennero la concessione di tutte le miniere di rame e piombo che avessero trovate, in particolare, “…nelle valli di Stura e Di Gesso, nella provincia di Cuneo, e di Lisio nel Marchesato di Ceva, per 10 anni”: il duca concesse un anticipo per le spese, di “L. 10 mila pagabili nel primo e secondo anno, e restituibili con il piombo ricavato” (PIPINO 2010, pp. 72, 173, 270). 

Di certo sappiamo che, a Castelnuovo, durante lavori minerari eseguiti in periodo napoleonico furono individuati “…lavori antichi attestanti che queste miniere sono già state coltivate: la tradizione del paese non ne ha conservato alcun ricordo, e s’ignora il motivo per cui furono abbandonate” (CHABROL DE VOLVIC 1824, pag. 47). In effetti, come scrive l’ingegnere francese Gallois nel maggio 1809, il passato governo piemontese “non è mai stato disposto a far coltivare miniere presso gli stati liguri”, e quella di Castelnuovo si trova, a sud del paese, proprio al confine con la Liguria (e col comune di Murialdo).

* * * * *

 Nel 1805 il governo genovese aveva chiesto, e ottenuto, che la Liguria entrasse a far parte dell’Impero Francese e il territorio era stato diviso in tre dipartimenti: Montenotte, con capoluogo, Savona, Genova con capoluogo la città, Appennini con capoluogo Chiavari; i tre dipartimenti, più quello di Marengo, formarono la 28a divisione Militare. Il Dipartimento di Montenotte, che prendeva il nome dal luogo della precedente famosa vittoria napoleonica, comprendeva quelle che saranno poi le provincie di Savona, Oneglia e Acqui, più una parte della provincia di Mondovì, cioè il circondario di Ceva.  Dopo la breve parentesi del prefetto Nardon, nel 1806 fu chiamato ad amministrarlo il conte Gilbert-Joseph-Gasparde Chabrol de Volvic: “Abile amministratore egli fu anche ottimo ingegnere civile: a lui si deve la costruzione della strada Savona-Piemonte e suoi sono i progetti per la costruzione degli stabilimenti marittimi militari della Spezia e per l’ampliamento del porto di Savona…il 14 giugno 1809 istituiva la  Societé d’Agricolture, Commerce, Science et Arts du Departemente de Montenotte e chiamò a farne parte gli uomini più colti del dipartimento…volle la riapertura della miniera di lignite di Cadibona, ordinò saggi dei giacimenti di ferro di Noli e di Vado, promosse la ricerca del piombo” (PIPINO 1976, pag. 228).  Per le attività minerarie volle a Savona l’ingegnere Louis-Georges-Gabriel de Gallois, già stato responsabile delle miniere di ferro dell’isola d’Elba e, nel 1807, assegnato alla Liguria. Su suggerimento di questo, nel maggio 1809 inviò un manifesto a stampa a tutti i sindaci del dipartimento ricordando loro che il Governo francese incoraggiava e facilitava le attività minerarie e invitandoli a raccogliere e trasmettere tutte le informazioni sulla presenza di risorse metallifere presenti nel loro territorio, nonché “…unire a queste informazioni le antiche tradizioni che possono essere state conservate a questo proposito, ed inviarmi i saggi de’ minerali che vi riusciva di rinvenire”.

Da parte sua Gallois pubblicava un libello con istruzioni pratiche per la ricerca delle miniere e andava a verificare le notizie che pervenivano a Savona da tutto il dipartimento; nel contempo, dirigeva i lavori di ricerca nella miniera di lignite di Cadibona e ne pubblicava un approfondito resoconto nell’ufficiale Journal des Mines (GALLOIS 1809).

Come apprendiamo da documenti conservati all’Archivio di Stato di Savona e da me regestati (PIPINO 2016, pp 285-286), nel giugno 1806 Giorgio Rossi di Roccaciglié scrisse al  Sotto Prefetto notificandogli che “…negli ultimi anni della Corona del Re di Sardegna egli ha fatto la scoperta di una miniera contenente metalli preziosi” sui quali erano state fatti dei saggi, ma  le indagini erano state sospese a causa dell’inizio della guerra; avverte di essere settantenne e, “…essendo noto a lui soltanto l’esistenza e il luogo della miniera, non avrebbe difficoltà ad indicarne la situazione al presente Governo, presentadogli un campione per prova; ma vorrebbe ricavarne qualche vantaggio perché è stato notoriamente danneggiato dalla passata guerra”. Chiede pertanto: 1°, il permesso di scavare, al fine di non avere problemi con il proprietario del fondo dove  si trova la miniere;  2°, che trovando la miniera abbondante, egli abbia una parte del prodotto  e  qualche altra retribuzione a giudizio del Governo Francese, estendibile ai suoi eredi;  3°, assicura che entro due mesi dal suddetto permesso presenterà un campione della suddetta miniera per farne la prova.  E si firma assieme a due testimoni.

Il 24 giugno il sotto Prefetto scrive al Prefetto dicendogli che lo stesso Rossi gli aveva assicurato che il saggio eseguito sotto il passato governo aveva dato il 13% d’argento e che “…questo prodotto dovrebbe aumentare  a misura che si penetrasse nella miniera”; avverte che “…il sud. Rossi è già settantenne; egli potrebbe morire col suo segreto, dunque è il caso di accogliere la sua dichiarazione”, e, poiché non crede di avere il potere di rilasciare il richiesto permesso, chiede informazioni al Prefetto. Il Prefetto incaricò l’ing Gallos di verificare, ed è possibile che, nelle more burocratiche, il signor Rossi sia morto veramente, tant’è che non ne sentiamo più parlare.  Nella “miniera”, risultata essere quella di Castelnuovo, furono comunque fatti degli scavi a spese del Ministero e, in un rapporto del 28 maggio 1809, l’ing. Gallois scrive, tra l’altro: “Le masse di piombo solforato che recentemente sono state trovate a Castelnuovo fanno sperare che vi si scoprirà incessantemente una miniera abondante”. Il 10 novembre dello stesso anno Pietro Antonio Gastaldi, appaltatore di opere pubbliche, il quale “…ha saputo che il Governo ha fatto eseguire ricerche alle miniere di piombo di Castelnuovo  (arrondis. de Ceva) di poco conto a causa della scarsa cifra”, scrive al Prefetto: “…Se il Governo non se la riserva chiede di continuare i lavori a sue spese”.

 Ma, secondo il parer dell’ing. Gallois, espresso con lettera del 25 dicembre 1809 diretta al Prefetto, la coltivazione sarebbe stata “una lotteria”, troppo rischiosa per un singolo imprenditore: meglio affidarla ad una grande compagnia mineraria che avrebbe potuto affrontare i rischi. Nella stessa lettera comunica che nel corso dei primi lavori, eseguiti con il contributo economico del Ministero, erano stati trovati tracce di antichi scavi, sconosciuti agli abitanti della zona.  Nel giugno 1810 un campione di “Mine de Plomb de Castelnuovo” (n. 44) fu inviato per le analisi, assieme ad altri, ai laboratori del Consiglio delle Miniere di Parigi, ma non abbiamo i risultati.

E non si hanno notizie di ulteriori lavori nel breve periodo napoleonico: d’altra parte, sappiamo che poco lontano, a Garessio, era stato trovato un giacimento più promettente  e che in Piemonte, nelle contigua valle del Gesso e in altre, erano già attive discrete miniere di piombo, per cui non metteva conto di impegnarsi troppo nell’incerto giacimento di Castelnuovo. Questo sarà comunque ricordato nelle ”memorie” del prefetto che, sulla scorta delle informazioni ricevute dall’ing. Gallois, poteva scrivere (in francese): “Pochi anni fa sono stati scoperti due giacimenti di piombo solforato, uno al col di San Bernardo, sopra Garessio, l’altro a Castelnuovo sotto Millesimo; sono tutt’e due nel calcare. Gli indizi di Garessio si mostrano su una estenzione di parecchie miglia. Quelli di Castelnuovo non consistevano, in principio, che di alcune masse disperse, trovate in superficie nella terra vegetale; ma in seguito il minerale è stato meglio riconosciuto, grazie alle ricerche effettuate nel 1809 con l’autorizzazione del Ministero dell’Interno. È risultato, da queste ricerche, che il piombo solforato esiste in due modi, nel terreno: prima in venette sparse nella pietra calcarea compatta; e in secondo luogo come un letto di filone di breccia calcarea argillosa che attraversa la massa calcarea. Questo minerale è accompagnato da fluorite; non lo si trova ancora che poco abbondantemente, e non suscettibile di grande coltivazione: ma si deve  tuttavia augurare favorevolmente questa scoperta, potendo il filone arricchirsi in profondità, e moltiplicando convenientemente le ricerche.  Nello stesso tempo vi sono stati scoperti antichi lavori che provano che queste miniere sono già state coltivare; la tradizione del paese non ne ha conservato  alcun ricordo, e si ignorano i motivi che le hanno fatto abbandonare” (CHABROL DE VOLVIC 1824, pag. 47).

            Nonostante la pubblicazione, il giacimento fu completamente dimenticato nel periodo della restaurazione sabauda seguita alla caduta di Napoleone.

* * * * *

Per quanto riguarda l’Industria Mineraria, “Con le Regie Lettere Patenti del 18 ottobre 1822, il Governo Sardo, pur riprendendo molte delle concezioni della legge napoleonica, non incoraggiava di certo la ripresa di tale attività.  Venivano abbandonati i principi feudali della legge mineraria del 1770, sancita la separazione del suolo dal sottosuolo, ripristinato il Corpo degli ingegneri delle miniere (che fu quindi una eredità napoleonica e non una creazione della legge del 1822 come vorrebbe qualche autore)…ma, secondo la nuova legge, le miniere erano assoluto dominio dello Stato, le concessioni venivano rilasciate per tempi definiti e le Finanze avevano facoltà di avocare a sé la gestione delle miniere quando lo ritenessero opportuno” (PIPINO 1976, pag. 231).  In questo clima, e memori delle passate arbitrarietà, non erano certo molti a dedicarsi alla ricerca mineraria o soltanto a segnalare la presenza di possibili giacimenti. Per quanto riguarda quello di Castenuovo, è sintomatico che non se ne trovi cenno nel catalogo di BARELLI (1835) che, pure, era stato incaricato di raccogliere tutte le presenze e gli indizi “mineralogici” degli Stati di S.M. il re di Sardegna.

Finalmente, con il regio editto del 30 giugno 1840, il governo sardo riprendeva, in materia mineraria, tutti i principi della legislazione napoleonica: con l’atto della concessione la miniera diventava proprietà perpetua del concessionario; la miniera non poteva essere dichiarata scoperta che quando era sufficientemente riconosciuta la possibilità di una sua utile coltivazione; il permesso di ricerca poteva essere rilasciato, dall’Intendente della provincia, anche senza il permesso del proprietario del terreno…Impossibile enumerare tutti i permessi “di intraprendere gli studi e gli scavi per ricerca di minerali” rilasciati dal 1840 al 1859” (PIPINO 1976, pag. 231). 

Al giacimento di Castenuovo si interessò la società composta da Emanuele Magana e Antonio Maria Romanengo che, nel 1843, avevano ottenuto anche un permesso di ricerca, per piombo e argento nel territorio compreso fra i comuni di Tiglieto e di Rossiglione e, negli anni successivi, avevano eseguito scavi per oro nella località M. Calvo, per la quale avevano inutilmente chiesto la concessione (PIPINO 1976b, pp. 459-460). Andò loro meglio per il giacimento di “piombo argentifero nel comune di Castelnuovo-Ceva, provincia di Mondovì, regione delle Gorre”, per il quale nel 1846 chiesero la concessione; dopo le verifiche di rito, la concessione fu rilasciata formalmente il 28 ottobre 1848, per una superficie totale di 205 ettari e 20 are (REPERTORIO DELLE MINIERE 1858, pag. 598).   

Nella pianta allegata alla concessione, che oggi si trova nella Biblioteca Nazione di Francia,   sono segnate tre “Gallerie di ricerca” e una ”Galleria di Ribasso”  presso la confluenza del Rivo dei Monti  nel  Rivo della Gorra.

La miniera non ebbe vita molto lunga e, dopo alcuni anni di abbandono, il 24 dicembre  1863 fu emanata formale lettera di revoca della concessione, da parte del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (REPERTORIO DELLE MINIERE 1876, pp. 316-317). JERVIS (1873 pag. 23)  la cita ancora come concessione e dice che vi si trovano “galena argentifera con matrice di fluorina, blenda associata alla galena, fluorina leggermente violacea come ganga del filone di galena argentifera”.

Nel 1878 il geom. Gio Batta Motta ottenne il permesso di ricerca per piombo argentifero in “Regione Foresto” interessante i comuni confinanti di Castelnuovo di Ceva e Perlo, ma non ne fece nulla.

Si ritorna a parlare delle Miniera Gorre alla fine del secolo, grazie all’interessamento della compagnia internazionale di origine belga specializzata nella lavorazione dello zinco, la  “ Société des mines et fonderies de zinc de la Vieille-Montagne”, la quale cercava, nelle vecchie miniere di galena, la blenda e i suoi prodotti di alterazione, in precedenza scartati. A seguito di richiesta della compagnia, nel 1894 la miniera di piombo argentifero, che “giaceva abbandonata” fu oggetto di visita ufficiale da parte dell’ufficio minerario di Torino, con “…relazione verbale al fine di rendere possibile il passaggio di proprietà di detta concessione a terze persone che ne fecero domanda”. Avvenuto il passaggio di titolarietà della concessione, nel corso dell’anno  1900 la compagnia iniziò i lavori e, in particolare, “…si fece un pozzetto in corrispondenza della zona mineralizzata e si avanzò una galleria per riconoscere la continuazione del filone di galena argentifera”. L’anno successivo chiese che l’originaria superficie della concessione fosse molto aumentata, fino a comprendere le manifestazioni in territorio di Priero e quelle nel comune ligure di Murialdo (Pastori):  la modifica fu accolta con decreto reale del  24 ottobre 1901.  Ma, secondo le relazioni ufficiali, nello stesso anno 1901 la miniera di Castelnuovo era stata lavorata soltanto nel primo trimestre, mentre negli anni immediatamente successivi restò inattiva nonostante i succedutisi atti di “prefissione dei termini” per la ripresa dei lavori. Nel 1904 la compagnia presentò domanda di rinuncia alla concessione, rinuncia che fu ufficialmente accolta con decreto del 18 maggio 1905 (RIVISTA DEL SERVIZIO MINERARIO 1894-1905).

In tempi più recenti l’area della vecchia miniera è stata oggetto di sporadiche ricerche per minerali diversi: dal 1949 al 1951 per “sostanze radioattive acque minerali e piombo”; dal 1954 al 1956 per “minerali di ferro, zinco, manganese, galena e blenda”; dal 1956 al 1958 per minerali radioattivi; dal 1960 al 1962 per “barite e fluorite” (Arch. Museo Storico dell’Oro Italiano).

Le ultime ricerche citate furono eseguite dalla SOMICO S.p.A. Società Mineraria Continentale con sede in Milano, nel permesso “Foresto” in Comune di Castelnuovo di Ceva, e avevano per oggetto “barite e fluorite”. Il programma dei lavori, presentato il 17 giugno 1960, prevedeva: 1) rilievo geologico;  2) rilievi geologici e geominerario di dettaglio;  3) Lavori diretti sul terreno;  4) prove di arricchimento.  Nel corso dei due anni successivi, come risulta dal rapporto sulla visita effettuata il 23 agosto 1962 dall’ingegnere Capo dell’Ufficio Minerario di Torino  G. Lampasona, guidato dal dott. Giulio Arcelloni per la Società, le prospezioni avevano permesso di localizzare “…solfuri di piombo e zinco con ganga fluoridrica in due punti…ubicati rispettivamente presso Cascina e Cascina Bone”, nei quali “…si notano vecchi lavori per solfuri e alcune piccole discariche…Si tratta, in ambedue i casi di gallerie aventi ciascuno uno sviluppo di circa m. 1000, in parte franate e in parte invase da acqua”. Entrambe le gallerie si aprivano in corrispondenza di faglie sub-verticali: la prima interessava un banco di breccia calcarea  con “solfuri accompagnati da ganga fluoridrica”, la seconda in calcare triassico; in questa era stato “esplorato un filoncello di galena nella breccia calcarea, ma non era vi si notava presenza di fluorite”.

Secondo l’ulteriore programma della Società, che chiedeva il rinnovo del permesso, sarebbero state “riprese” le due gallerie, “…riarmandole nelle zone franate in modo da poter esplorare raccogliendo dei campioni, e successivamente di ubicare qualche sondaggio esplorativo”.   Non risulta, però, che  poi fossero fatti lavori di rilievo. 

Si ha invece notizia che negli anni ’80 del Novecento la zona fu frequentata da appassionati collezionisti di minerali che, impossibilitati di penetrare nelle gallerie allagate e franate, si accontentavo di raccogliere campioni di solfuri e di solfati d’alterazione nelle rocce affioranti.

 

BIBLIOGRAFIA CITATA

BARELLI V.  Cenni di Statistica mineralogica degli Stati di S.M. il re di Sardegna, ovvero Catalogo Ragionato della raccolta formatasi presso l’azienda generale dell’ Interno. Tip. G. Fodratti, Torino 1835. 

DELFINO D., PIPINO G. L’attività metallurgica nel Castellaro di Bergeggi.  In “Monte S. Elena (Bergeggi  - SV). Un sito ligure d’altura affacciato sul mare. Scavi 1999-2006”.  All’insegna del Giglio, Firenze 2009, pp. 204-207.

DELLA CHIESA F. A.  Relazione dello stato presente del Piemonte. G. Zavatta e G.D. Gajardo, Torino 1635.

GALLOIS. Istruzione sulla ricerca delle mine. Flli Rossi Stampatori della Prefettura. Savona s.d. (1809).

JERVIS G.  I tesori sotterranei dell’ Italia. Vol. I: Regione delle AlpiEd. Loescher, Torino 1873.

PIPINO G.  L’amministrazione napoleonica e la rinascita delle attività minerarie in Liguria. “L’Industria Mineraria”, XXVII, 1976, pp. 227-231.

PIPINO Giuseppe.  Le manifestazioni aurifere del Gruppo di Voltri con particolare riguardo ai giacimenti della Val Gorzente. Estratto da “L’Industria Mineraria”, XXVII, 1976, pp. 452-468.

PIPINO G.  Sabbie aurifere (e monete romane) raccolte nel Tanaro presso Alba. “Alba Pompeia” n.s., II, 1981 n. 2, pp. 35-40.  Poi nel Volume “ORO MINIERE STORIA 2. Miscellanea di giacimentologia, archeologia e storia mineraria”. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2016, pp. 59-63.

PIPINO G. Documenti su attività minerarie in Liguria e nel dominio genovese dal Medioevo alla fine del Seicento. “Atti e memorie della Società Savonese di Storia Patria” n.s. vol. 39, 2003, pp. 39-112.  Poi nel volume “Liguria Mineraria. Miscellanea di giacimentologia, mineralogia e storia estrattiva”. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2005, pp. 65-108. 

PIPINO G.  Risorse metallifere storiche nelle alte valli della Bormida. Giacimenti cupriferi di Murialdo, Bormida e Mallare. “Archeologia in Liguria” n.s. vol. I, 2004-2005.  Tip. De Ferrari, Genova 2007, pp. 48-57.

PIPINO G.  Documenti minerari degli Stati Sabaudi. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2010.

PIPINO G.  Le aurifodine dell’Ovadese. “ArcheoMedia, L’archeologia on.line” a. IX n. 3, 2014.  Ripubblicato nel Volume “Lo sfruttamento dei terrazzi auriferi nella Gallia Cisalpina. Le aurifodine dell’Ovadese, del Canavese-Vercellese, del Biellese, del Ticino e dell’Adda”. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2015, pp. 63-92. 

PIPINO G.  L’antica miniera d’argento di Rialto nel Finale ligure. “Academia.edu”, 12 settembre 2015.  Poi nel Volume “ORO MINIERE STORIA 2. Miscellanea di giacimentologia, archeologia e storia mineraria”. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2016, pp. 343-350.

PIPINO G. Documenti minerari recenti negli archivi di Stato di Genova e Savona. In “ORO MINIERE STORIA 2. Miscellanea di giacimentologia, archeologia e storia mineraria”. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2016, pp. 277-288.

REPERTORIO DELLE MINIERE serie I vol 7, 1858;  serie II vol 3, 1876. 

RIVISTA DEL SERVIZIO MINERARIO  per gli anni 1894 (ed. 1895), 1900 (ed. 1901), 1901 (ed. 1902), 1904 (ed. 1905),  1905 (ed. 1906).

VOLATERRANI (R. Maffei). Commentariorum Urbanorum. J Parvo e J.B. Ascensio, Parigi 1511.

 

 

 

castelnuovo1

Lettera del 19 agosto 1579, con la quale Giovenale Pasero, Avvocato Fiscale e Gran Conservatore
delle Miniere di Sua Maestà (il duca di Savoia), concede ad Agamennone dei Marchesi di Ceva
di cavare e ricercare le miniere di cui ha notizia.

 

 

castelnuovo2

Piano topografico del 1846 predisposto per la miniera “Gorre”, concessa nel 1848 (Bibliothèque Nationale de France)

 

 

castelnuovo3

Particolare della mappa allegata alla Concessione della miniera “Gorre”

 

 

 

castelnuovo4

Lettera con la quale il Ministero dell’Agricoltura e del Commercio chiede all’Intendente
 Generale di Genova di comunicare alla società Mario Romanengo ed Emanuela Magana,
dimoranti in quella città, che la loro domanda di concessione per la miniera di  piombo
argentifero solforato rinvenuta nel comune di Castel nuovo Ceva è stata
accolta da S.M. il 28 ottobre 1848, e di provvedere per il ritiro del Decreto.
 
 
 

 

castelnuovo5

La zona della miniere di Castelnuovo di Ceva nelle carte moderne. 
Il giacimento si trova presso il Rio Gora, non lontano dal confine regionale con la Liguria.
A sud-ovest si trova la località Foresto, in comune di Perlo, denominazione che in ricerche
recenti  si estende fino a comprendere la vecchia zona mineraria di Castelnuovo di Ceva.