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L'allume di Ischia

 

  Giuseppe Pipino

      L’ALLUME D’ISCHIA E I MARCHESI DEL VASTO (E DI PESCARA)

 

            Nell’elenco sommario dell’Archivio privato della famiglia d’Avalos di Napoli, pubblicato poco più di 10 anni or sono, troviamo, al numero 1352: “Copia informe della donazione della lumiera d’Ischia fatta da Ferdinando d’Aragona” (LUISE 2012, pag. 220).  I documenti, dopo alcune vicissitudini giudiziarie, sono stati affidati all’Archivio di Stato di Napoli e sarebbero “in fase di ordinamento e tuttora fuori consultazione”, come cortesemente comunicatomi dalla Direzione.  E poiché, come è noto, sono andati perduti i registri Privilegiorum del periodo aragonese che ci interessa, non è possibile, al momento, verificare alcune discordanze emergenti dalla bibliografia.

            Ricavo un primo accenno sull’interessamento di un nobile d’Avalos all’allume di Ischia da una dettagliatissima cronaca dell’impresa di Consalvo di Cordova, scritta da un “ cronista del Regno d’Aragona”: nel 1503 si era presentato, davanti al “Gran Capitano”, “…Don Inigo de Avalos Marchese del Vasto…molto incline a mostrarsi spagnolo, e molto nemico della gente francese, desiderava servire il re…chiedeva che il re gli concedesse il governatorato di Ischia, in tempo di guerra e di pace, con la tenenza della fortezza, come gli fu concessa da re Federico, per tutta la vita, con tutte le rendite dell’isola, con i castelli e con le miniere d’allumela nuova concessione dell’sola di Procida come la teneva Michele Cossa” e altri privilegi e rendite a favore suo, della sorella Costanza contessa di Acerra, del nipote Ferdinando, riconosciuto Marchese di Pescara in base alle vicende familiari, e dell’altro nipote Giovanni d’Avalos di Aquino (CURITA 1580, pp. 272v.-273). Un cronista napoletano, contemporaneo dei fatti, aveva dato, dell’evento, notizia più stringata ma meglio localizzata e datata, seppure con una piccola incongruenza cronologica:  “Ali 14 di maggio 1503 è venuto in Napoli lo signore Marchese de lo Guasto nominato don Inico de Avalos a portare le chiavi, al signor gran Capitanio, del castello di Iscla & anche della terra.  Alli 16 di maggio 1503 di martedì sono andati li sìgnori eletti de Napoli…ad incontrare 1' Illustrissimo signore gran Capitanio di Spagna quale era arrivato a Poggio reale, & li portaro le chiavi de Napoli; dopo  ci arrivai lo marchese de lo Guasto, che le rappresentai le chiavi d’ Ischa & lo gran Capitanio a quello abbracciò molto strettamente” (PASSARO 1765, pag. 138).  Più preciso è un altro cronista napoletano del Cinquecento, secondo il quale “…a li 14 de magio vende il marchese de lo guasto da Yscha et portò le chiave de Yscha al gran capitanio nomine Consalvo ferrando , lo quale stava con lo exercito allo Gaudello, perchè haveva seguitato la victoria et veniva per ponere campo in Napoli” (FUSCOLILLO 1876, pag. 74).

            Le richieste del marchese del Vasto (o Guasto), che peraltro erano già state concordate con un inviato spagnolo nell’ottobre del 1502 (SANUTO 1880, col. 422-423), furono quasi totalmente accettate dal Gran Capitano e saranno poi confermate dalla coppia reale spagnola, Ferdinando e Isabella (firmata Elisabetta).  A proposito di Procida, una presunta pergamena di concessione a Rodrigo d’Avalos, del 1505, è stata esposta nell’isola “capitale della cultura” ed ha fatto molto rumore a seguito delle dichiarazioni del Soprintendente agli Archivi, Gabriele Capone, secondo le quali essa rivoluziona la storia dell’isola (Corriere del Mezzogiorno, 29 giugno 1922). La pergamena era già stata indicata nell’elenco LUISE 2012, al numero 3163, come: “…altra del 1505 con cui Ferdinando Re d’Aragona concede ad Innico d’Avalos a titolo di donazione l’Isola di Procida ed il casa[le] di Sant’Antimo posseduti la prima da Michele Cossa e la seconda da Bernardo Stendardo”, e a leggerla ci si rende conto che non si tratta di documento originale di donazione, come sostenuto dai suddetti, ma di una sommaria trascrizione-traduzione di un ignoto privilegio di conferma, dichiaratamente riferito al passato  (donarono).  Del resto, è ben noto che Rodrigo era morto nel 1497, Innico nel settembre 1503. Il riferimento alla ribellione ci  rimanda ai tempi dei Baroni, ed è possibile che ci fosse stato il citato sequestro di Procida ai Cossa e la sua donazione a Rodrigo d’Avalos, da parte di un re di Napoli: poi, essendo morto Rodrigo, nelle contrattazioni col Gran Capitano, Innico aveva chiesto l’isola per sé.  È anche possibile che un presunto primitivo privilegio fosse stato confermato dalla coppia reale di Spagna, come indicato nell’intestazione, ma questa conferma, se mai c’è stata, era ovviamente più lunga, pomposa e dettagliata, ed era scritta in spagnolo: comunque sia, essa non fu riconfermata da Carlo V, a differenza delle altre.  Inoltre, come vedremo, risulta che nel 1517 il figlio di Innico, Alfonso III d’Avalos  Marchese del Vasto, aveva dei diritti a Procida, ma per acquisto da un precedente detentore. In definitiva, è possibile che nelle intricate vicende di fine Quattrocento-inizi Cinquecento, e per il loro ambiguo comportamento, i Cossa abbiano perduta Procida, ma la perdita, almeno per il momento, sarebbe stata di breve durata.

 Pergamena ischia

  1. Pergamena del 1505 secondo la quale Ferdinando re d’Aragona e la regina Elisabetta (Isabella),
  2.  essendo decaduti a causa di ribellione l’Isola di Procida e il casale di Sant’Antimo posseduti da
  3. Michele Cossa e da Bernardo Stendardo, in considerazione dei servizi resi da Innico Davalos
  4.  donarono detta Isola e Casale a Rodrigo Davalos e suoi eredi
  5.  

            Il “Gran Capitano”, Gonzalo Fernández de Córdoba, detto Consalvo (Gonsalvo), stava conquistando il Regno di Napoli per conto di Ferdinando il Cattolico contro l’ex alleato Luigi XII, e ne sarà poi viceré (dal 1504 al 1506).  Il suo interlocutore,  Innico (II) d’Avalos, era uno dei figli di Inigo (Innico) Dàvalos, cortigiano e condottiero spagnolo che nel 1435 aveva seguito Alfonso d’Aragona a Napoli, assieme al fratello Alfonso, ricevendone molti privilegi dopo la conquista del regno (compreso la facoltà di nominarsi d’Avalos); la madre era Antonella d’Aquino contessa di Monteodorisio e, più tardi (1472), marchesa di Pescara e contessa di altre terre, la quale aveva dato al marito 8 figli, tra cui  Alfonso (II), Rodrigo e Innico (II), divenuti famosi condottieri, e la secondogenita Costanza, prima delle figlie femmine e, poi, maggiore di tutti: il primogenito, Martino, era infatti morto nel 1488. I figli della coppia assumeranno, alla spagnola, il doppio cognome d’Avalos de Aquino; il primogenito sopravvissuto erediterà dalla madre il titolo, trasmissibile, di Marchese di Pescara; il Marchesato del Vasto, dopo essere stato appannaggio di un ramo collaterale della famiglia (Guevara), nel 1496 fu assegnato a Rodrigo da re Ferrandino, e, a seguito del suo subitaneo decesso, senza eredi, e del decesso dello stesso re, nel 1497 fu concesso a Innico II ed eredi da re Federico.

          Come apprendiamo da vecchie cronache, riprese da alcuni autori moderni e integrate con qualche documento d’archivio (COLAPIETRO 1999; LUISE 2006; MARRONE 2019), il destino dei d’Avalos aveva cominciato ad intrecciarsi con quello d’Ischia alla fine di gennaio 1495, quando vi si era recato il neo re di Napoli Ferdinando II detto Ferrandino, fuggito dalla città per l’arrivo di Carlo VIII.  Prima di recarsi in Sicilia, governata dal cugino e omonimo Ferdinando d’Aragona (il Cattolico) re di Sicilia ecc., re Ferrandino aveva lasciato i fratelli Rodrigo e Innico d’Avalos a difesa del possente castello d’Ischia: l’altro fratello, Alfonso marchese di Pescara, era  rimasto a presidiare il Castello Nuovo di Napoli (oggi Maschio Agioino), ma non aveva potuto tenerlo per la ribellione della guarnizione svizzera (PASSARO 1765, pag. 69).

            Il Castello d’Ischia, e di conseguenza l’intera isola, erano stati subito difesi da Rodrigo    dall’attacco di baroni napoletani passati ai francesi: “…A dì 11 Junii Jovidì. Lo Signor de Bonpensieri, e lo Principe de Salerno mandao l’armata a Ischia , ma non si possette fare niente, e se ne tornò” (GUARINO 1780, pag. 222).  Poi, nel giugno 1496, mentre Rodrigo combatteva in terraferma, Innico aveva dovuto difendere Ischia dai ben più possenti attacchi della flotta comandata da Ludovico Sforza, alleato di Carlo VIII, che aveva occupato e devastato l’isola, ma non era riuscito a prendere il castello nonostante la stragrande superiorità.  L’episodio, come noto, è ricordato nella Storia d’Italia del Guicciardini ed è celebrato in alcuni versi dell’Orlando Furioso, ma è un cortigiano francese, al seguito di Carlo VIII, a sottolinearne l’importanza strategica: “Il Rè fù ricevuto con grande gioia e solennità nella città di Napoli…e vennero tutti i Prencipi e Signori del Regno per fargli homaggi, eccettuato il Marchese di Peschara…Davanti al Castello di Napoli fu piazzata l'Artiglieria, che tirò: vi erano rimasti soltanto i tedeschi, essendo partito il suddetto marchese di Pescara; se si fossero mandati quattro cannoni all'Isola (d’Ischia), e si fosse presa: di la ritornò il male” (DE COMMINE 1552, f. CXXXIIIv.-CXXXIIII).

            Il 15 marzo 1497 la fedeltà e il valore di Innico II erano stati premiati dal nuovo re di Napoli, Federico, con la “…cessione del Castello ed Isola d’Ischia” secondo l’elenco LUISE (n. 3320), col governatorato e altri privilegi secondo fonti diverse. Non potendo leggere i documenti, non sappiamo se tra i privilegi ci fosse anche la miniera d’allume, ma è possibile: il 21 ottobre 1481 questa era stata concessa a Francesco Coppola, conte di Sarno; “…Nel 1487, comunque, Francesco Coppola perse la concessione, e la vita, perché aderente alla congiura dei baroni” (PIPINO 2009, pp. 30-31). Il conte di Sarno era stato un ricchissimo e noto imprenditore in vari campi, tanto che intorno al 1484 era stato dedicato un poemetto in latino alle sue “arti”, nel quale viene elogiato anche il suo talento nell’estrarre argento e piombo a Longobucco e nel produrre ferro in “grandi forni” (DE BLASIIS 1883, pag. 758).  L’importanza, per lui, della miniera di allume di Ischia si evince dalla narrazione della Congiura dei Baroni, fatta da Camillo Porzio sulla base degli atti processuali: il conte di Sarno ne era stato uno dei promotori e finanziatori e, in caso di successo, avrebbe dovuto ricevere il contado di Nola e “…Ischia  con la Lumiera e castello a mare” (PORTIO 1565, pp. 16-17).

                Quanto a Innico, a seguito della morte del fratello maggiore Rodrigo, ucciso in combattimento nella valle del Liri nel gennaio 1497, aveva ottenuto anche il Marchesato del Vasto che il defunto aveva acquisito nel 1496 (COLAPIETRO 1999, pag. 113). Ed è da ricordare che re Federico, successo a Ferrandino, era stato presente alle sue nozze con Laura Sanseverino, sorella del principe di Bisignano, celebrate nel giugno 1500 nel castello di Ischia, e, ancora, che ai primi di agosto 1501, costretto a lasciare Napoli, il re si era rifugiato nell’isola con gran seguito e con la flotta residua: secondo i patti stipulati con il comandante francese d’Aubigny, avrebbe dovuto lasciarla entro sei mesi per andare dovunque volesse, meno che nel Regno di Napoli.

            È molto probabile che Costanza d’Avalos facesse parte del corteo di nobili che accompagnarono il re nell’isola,  nella quale rimase poi stabilmente, essendo del tutto improbabile la sua partecipazione ai precedenti eventi bellici di Ischia, come vorrebbe qualche autore  (MARINO 1896, pag. 105; ecc.), e men che meno a quelli del 1493 (?) come riporta il Dizionario Bibliografico degli Italiani, alla voce “AVALOS, Alfonso d', marchese del Vasto” (Vol. 4, 1962).
 

            Se si astrae dal primogenito Martino, morto nel 1488, Costanza era la maggiore di altri sei tra figli e figlie di Inigo Davalos.  Nel 1477 aveva sposato Federico del Balzo, Conte di Acerra e fratello di Isabella, promessa sposa del principe Francesco, ed era stata condotta all’altare dal padre di questo, re Ferdinando I detto Ferrante. Nel 1483 era restata vedova e senza figli, e non si era risposata (COLAPIETRO 1999; LUISE 2006; PAPAGNA 2008; COPELLO 2019). 

            In un primo tempo i rapporti della vedova con i fratelli non dovettero essere molto amichevoli, per ragioni economiche, tanto che il 15 marzo 1495 si era rivolta a Carlo VIII, appena insediatosi a Napoli, chiedendogli di obbligare “…il marchese di Pescara e gli altri suoi fratelli” a consegnarle metà della sua dote che avevano trattenuto, e il solo marchese di Pescara  a darle anche  “…parte della dote e dei diritti dotali di sua madre Isabella de Aquino”. Il re aveva predisposto: “…che siano prese informazioni, e, dopo aver udito le parti, si provvegga secondo giustizia”  (MASTROJANNI 1895,  pp. 272-273). 

            Al re si erano rivolti, oltre alla sorella di Costanza, Ippolita, numerosissimi nobili di Napoli e del Napoletano, ricevendone tutti analoghe assicurazioni, ma i suoi comportamenti effettivi avevano finito per inimicarli. Costanza aveva lasciato Napoli e si era recata Messina, proprio dal fratello Alfonso. Questo era poi rientrato a Napoli con re Federico e, incaricato di riprendere i forti in cui ancora erano asserragliati i francesi, era stato ucciso il 7 settembre 1495 in una imboscata (PASSARO 1785, pag. 81). Costanza, restata in Sicilia, appena saputa la notizia era rientrata a Napoli, “…straziata dal dolore” (PAPAGNA 2008, pag. 539).

            Alfonso, rimasto vedovo l’anno prima, aveva lasciato del tutto orfani i piccoli Francesco Fernando e Giovanni che erano passati sotto la tutela legale di sua sorella: secondo un documento pubblicato da BARONE (1885 pag. 40), nel dicembre 1497 Costanza riceveva, dalla Tesoreria del Regno di Napoli, 10 denari in acconto dei 100 (annui?) che le erano dovuti “…per sostentamento suo e dei figliuoli del quondam marchese di Pescara, i quali tiene in suo governo”.  Nell’aprile del 1501 aveva ottenuto da re Federico, che Francavilla fosse scorporata dai domini ereditari della famiglia d’Avalos “e fosse attribuita a lei «nomine et re insigni»” (MARINO 1896 pag. 105).  A questo proposito, DE LAURENTIIS (2016 pag. 61) afferma che l’operazione sarebbe stata fatta “Per punire le posizioni filo spagnole di Iñigo d’Avalos”, ma come abbiamo visto, e vedremo, al tempo, e fino al settembre 1501, Federico non aveva nulla da rimproverare a Innico d’Avalos, tutt’altro. Prive di fondamento sono altre affermazioni di De Laurentiis, come la presunta conoscenza da parte di Innico delle precoci trame fra spagnoli e francesi “…nel novembre del 1500...per spartirsi il Regno di Napoli col consenso del papa”, e quella secondo cui “Partito da Ischia per il volontario esilio, Federico dispose la consegna di tutte le fortezze ai francesi” (pp. 61-62).

            Trasferitasi a Ischia, Costanza aveva portato con sé i due nipoti, i quali qui cresceranno assieme ai cugini, figli di Innico: Giovanni, però, non visse a lungo, ma era ancora vivo nel 1503, come si ricava dall’accordo dello zio col Gran Capitano.

            Quanto a re Federico, preferendo consegnarsi al re di Francia piuttosto che al cugino re di Spagna che lo aveva ingannato e tradito,  ai primi di settembre aveva lasciato l’isola con una parte della flotta, diretto a Marsiglia, accompagnato da pochi fedeli, tra i quali l’amico poeta Jacopo Sannazzaro.  Prima di partire aveva concesso agli abitanti d’Ischia quei privilegi riportati da D’ASCIA (1867, pp. 169-170) e  “Volendo ancora Federico premiare la fedeltà della Casa del Vasto, prima di partire donò a questi le sue riserve, i suoi boschi, il suo padiglione di caccia che possedeva in quest'isola trasmettendo loro ogni aver suo che nella città, e nelle terre d' Ischia si contenesse” (Id. pag. 170).  

            La regina lo aveva raggiunto un anno dopo, lasciando Ischia anche a causa della peste, secondo la testimonianza di PASSARO (1785, pag. 129): “…Ali 19 di luglio 1502…la Regina Isabella dello Baucio mugliere dello signore Re Federico venne con tutti li figlioli in Napoli…per causa che a Ischia era la peste, & depoi dello mese di Augusto se partio dallo castiello del Ovo & andaisene in Franza a trovare suo marito”.

            Partito il re da Ischia, erano subito state inviate ambasceria da Napoli con la richiesta di consegnare il castello ai francesi, ma Innico aveva trovato sempre nuovi pretesti per non farlo, dandosi persino ammalato, come si ricava dai succinti Diari di SANUTO (1880, col. 359, 392, 408, ecc.), tanto che nel gennaio 1502 re Federico aveva dovuto giustificarsi col re di Francia (col. 715-716). L’ex re di Napoli aveva infatti concordato, con Luigi XII, la cessione di tutti i suoi diritti in cambio di una contea in Francia e di un vitalizio, e aveva scritto ad Innico, di consegnare il castello e l’isola d’Ischia ai francesi, ma egli si era rifiutato e aveva iniziato le ostilità depredando alcune imbarcazioni: il 29 settembre 1502  il console Lunardo Anselmi scriveva, da Napoli: “…si trata acordo col marchexe di Pescara (sic); e le fuste e brigantini de  Yschia ogni di fa preda, han piglià tre saetie di Gaeta, carge di olio” (col. 430).  Nel dicembre 1502, si era deciso di “levargli tuto lo stato. E in quella matina mandono a la casa soa (a Napoli), e nulla trovarono: minazano volerli mandare il campo a dosso…Il marchese del Guasto è a Yschia, la tiene per re Federico: e li hanno cridà la guerra a dosso” (col. 557 e 561).  A gennaio del 1503  “Jschia è contro Franza, e han preso alcuni navilij e noce quanto può…Et està bandito li lochi di ditto marchexe di Pescara (sic) qual è a Yschia” (col. 591)“. Ai primi di marzo, a Napoli, era stato messo in vendita “…lo stado del marchese del Guasto, zoé Peschara, Nolla e Tripalda”  (col. 823).

            Nell’aprile del 1502 era scoppiata guerra aperta tra Luigi XII e Ferdinando d’Aragona per il possesso del Regno di Napoli e Innico, rimasto profondamente spagnolo, come tutti i d’Avalos, aveva continuato a tenere il castello d’Ischia, seppure sotto la bandiera di Federico, in attesa degli eventi. Secondo CURITA (1580), sempre molto avaro nella datazioni dei “dettagli”, Innico aveva contattato il Gran Capitano mentre si trovava a Venosa (nel maggio del 1502), avvisandolo che re Federico gli aveva mandato la parola d’ordine per consegnare Ischia ai francesi e, chiedendo rassicurazioni sul passaggio dell’isola sotto le insegne spagnole, affermava di poter attendere per tutto il mese di giugno: il capitano aveva risposto di dover aspettare ordini dal re di Spagna, ma che tenesse comunque l’isola, in quanto riteneva che la risposta sarebbe stata positiva (pp. 136-136v.).  Nel mese di ottobre, come abbiamo visto, le condizioni di cessione della sovranità d’Ischia alla Spagna erano state concordate con un inviato spagnolo (SANUTO 1880, col. 422-423).

            Come riferisce Curita, trattando degli avvenimenti dei primi di ottobre e parlando della posizione dei nobili napoletani: “…Per uno di questi cavalieri e per il suo grande valore si incamminarono le cose di Ischia, di modo che l’animo del Marchese del Vasto fu sempre molto devoto” (pag. 253 v.); poi, al principio del mese di febbraio 1503: “...si aspettavano gli ordini per Ischia, dove il Marchese del Vasto aspettava l’armata del re per dichiararsi al suo servizio e alzar la bandiera di Spagna, lo stesso per la regina di Ungheria che si trovava in quell’isola” (pag. 268v.).  Poco dopo “…fu deciso che, a Pasqua di Resurrezione  il Marchese del Vasto  alzasse la bandiera di Spagna a Ischia e dichiarasse di tenere la città e il castello in nome del Re Cattolico” (pag. 285v.).  La ricorrenza cadeva il 16 aprile, ed esattamente un mese dopo il Gran Capitano era entrato vittorioso a Napoli.

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            Innico, come riferito ancora da CURITA (1580), oltre alla sovranità su Ischia portava al Gran Capitano “…cento lance e duecento cavalli leggeri” (pag. 273): inoltre, “…tutta l’artiglieria che in quell’isola aveva il Marchese del Vasto fu portata a Napoli per mandato del Gran Capitano” da Vilamarin, comandante della flotta spagnola (pag. 291): i cannoni, a quanto pare, dovevano essere utilizzati contro i forti napoletani ancora occupati dai francesi, in particolare contro il Castello Nuovo che impediva l'accesso al porto alle navi spagnole. Continuando il racconto, Curita ci dice che nell’avvicinarsi della potente flotta francese, Vilamarin ricevette l’ordine di portare quella spagnola al sicuro nell’isola d’Ischia: entrate le navi nel porto, furono scaricati i loro cannoni per difenderle da terra, e lo stesso porto fu chiuso con “…una grossa catena, per impedire l’entrata al nemico…Vilamarin e il Marchese del Vasto pensavano che così la flotta era al sicuro”.  Avevano appena terminato le difese che arrivò la flotta francese decisa a distruggere quella spagnola, “…ma Vilamarin pose tanta diligenza nella difesa dell’armada che i nemici fecero ben poco danno. Più del nemico fece danno la pestilenza che si sviluppò nelle navi (spagnole) tanto che molti, terrorizzati, scappavano di notte, per questa ragione Vilamarin dovette far affondare tutte le barche dell’isola. I Francesi restarono quaranta giorni, ma non si ebbe da essi danno alcuno; e si allontanarono dal porto senza aver avuto alcun effetto”.

            Parte dell’episodio è riportato, dal fronte opposto, nella lettera scritta il 21 giugno da uno dei comandanti francesi al suo ministro: “…i nemici cercano di piazzare l’artiglieria su una piccola altura, ch’è presso il terrapieno del castello, e di là potranno arrecare parecchi danni, più gravi di quelli di prima…teniamo assediata a Ischia la flotta dei nemici del Re. Noi ci siamo ancora e l’abbiamo circondata in modo che né barca né brigantino né scafo possa uscire; i detti nemici hanno fatto due sbarramenti in mare davanti alla loro flotta…l’artiglieria migliore, che c’era, fu portata dal marchese a Napoli, non appena Gonsalle Ferrande vi giunse e perciò, se possiamo, incendieremo la flotta” (CASTAGNA G. 2008, pp. 19-20).

            Partiti i francesi, per Gaeta, senza aver potuto fare nulla, la flotta spagnola ritornò a Napoli dove, nel frattempo, era stato preso il Castel Nuovo (grazie ai cannoni d'Ischia), mentre Innico, con una parte delle navi, “…recuperò Pozzuoli…ed altresì Baia con agevole assedio…trasferitosi poi all’aspra Rocca di Salerno, l’assediò e la restitui ben presto a noi”, come “canta” il vescovo Valentini nel poema latino scritto in onore del Gran Capitano (CANTALICII 1506, L. IV), nella traduzione di COLAPIETRA (1999, p. 117), mentre  CURITA (1580, pag. 298 v.) parla soltanto, ma diffusamente, della presa di Salerno.  Da altri autori apprendiamo che nel corso di quest’ultima impresa il Marchese del Vasto si ammalò, forse di malaria, e morì a Napoli poco dopo; Notar Giacomo, in particolare, scrive: “….Adi ultimo septembre…lo illustre don Inicho de davolos marchese del guasto aymone secundo piacque a dio si fo morto in napoli alle case soe quale venne infirmo dal campo quale se trovava inlo Cilento contro li franciosi et gente del principe de salerno” (GARZILLI 1845, pag. 262). 

            Innico lasciava orfani tre piccolissimi figli, Alfonso (III), Rodrigo (II) e Costanza (II), i quali furono sottratti alla vedova, per “indegnità”, e si aggiunsero ai cugini sotto la tutela della zia Costanza.  Secondo le notizie ricavate da una sua antica biografia rimasta manoscritta, Costanza, “«donna amatrice e gelosissima dell’onore e conservazione del suo legnaggio»…non avrebbe esitato a fare «industrievolmente ammazzare» l’amante della cognata, Annibale Mansorio Abate di S. Maria d’Avanzo e ad attentare alla vita stessa di lei” (COLAPIETRA 1999, pag 130 n. 7).

                Morti, con Innico, tutti i maschi adulti della casata, Costanza ne diventava capo famiglia e rappresentante: in tale veste continuò a mantenere il castello d’Ischia, con una guarnizione spagnola. Tale funzione fu enormemente esagerata dagli adulatori dell’epoca ed è finita col diventare un mito negli autori successivi: tra i primi, per il rilievo dell’autore, è da citare Paolo Giovio che, nella “Vita del Grande Consalvo Cordova”, scriveva: “…l’armata francese piegò le vele verso Ischia per opprimere le triremi spagnole che stazionavano sotto il castello…Ma Costanza davala donna di gran valore e fede, che re Federico aveva lasciato nel castello, da questa alta posizione  scaricava i cannoni difendendo egregiamente gli spagnoli, poiché aveva alzata la bandiera d’Aragona…Questa è Costanza Davala, che  per pietà e gloria è memorabile tra poche” (IOVII 1564, pp. 236-237).  Tre secoli dopo D’ASCIA (1867, pp. 171-172) scriveva: “…D.ª Costanza si preparò alla più eroica resistenza contro la flotta Francese…Ammirevole, anzi sorprendente fu la resistenza di questa nobile donna, che  dotata d' invitto animo, ignaro di ogni debolezza inerente alla qualità di donna, fornita di alta intelligenza superiore al suo sesso, mostrando l'energia, la bravura, la tattica militare di valentissimo capitano, resistette all'assalto, e mantenne sulla rocca alta la bandiera…della linea retta dei reali d'Aragona. Ogni francese sforzo fu vano, indarno spiegarono evoluzioni di truppe da sbarco, e schierarono in linea di battaglia le loro galee tutti questi bellicosi movimenti servirono ad assicurare l'alta fama di questa donna intrepida e ad oscurare la gloria usurpata dai Francesi nelle occupazioni delle altre castella”. 

            È sorprendente che la “favola” venga riproposta con serietà nel prestigioso Dizionario Bibliografico degli Italiani, della Treccani, alla voce “AVALOS, Costanza d', principessa di Francavilla” (Vol. 4, 1962), esagerando anche la durata del conflitto: “…Morto il fratello nel 1503, assunse personalmente il comando dell'isola difendendola per quattro mesi consecutivi dall'assedio di quaranta galee francesi e riportando infine un successo”; e stupisce pure che, a riprova, venga citato un privilegio a lei concesso nel 1516 e motivato col ricordo dei “servicios prestados por sus antecessores en la defensa de la isla de Ischia contra los franceses",  quando dal testo stesso risulta chiarissimo che quei “servizios” furono “prestados” non da lei, ma dai suoi “antecessores”.

            Merito certo di Costanza fu di aver cresciuto, educato e “piazzato” i nipoti, dei quali Francesco Fernando e Alfonso (III) diverranno famosi condottieri: Giovanni figlio di Innico II non visse a lungo, come detto, mentre Rodrigo, figlio di Alfonso II risulta essere morto tra il 1521 e il 1525, e il fatto che di lui non si abbiano notizie induce a credere che fosse in qualche modo menomato.

            Francesco Ferdinando o Fernando,  nato a Napoli nel 1490, ereditava dal padre, tra l’altro, il titolo di Marchese di Pescara e l’ufficio di Gran Camerlengo; nel 1509, all’età di circa 19 anni, fu fatto sposare con Vittoria Colonna e due anni dopo partiva per servire nell’esercito spagnolo, facendo, in seguito, solo saltuari ritorni ad Ischia. Qui, intanto, la moglie e la zia Costanza davano luogo a quel “cenacolo culturale” molto famoso all’epoca e celebrato ancora in tempi recenti (THÉRAULT 1968; CASTAGNA R. 2007, PAPAGNA 2008). Lui morì nel 1525 a Milano, poco dopo esserne stato nominato governatore, a seguito delle ferite riportate nella precedente battaglia di Pavia, da lui vinta come comandante dell’esercito spagnolo.

            Alfonso (III) figlio di Innico II, nato a Ischia nel 1502, ereditava dal padre il titolo di Marchese del Vasto e altro.  Partecipò giovanissimo ad alcune battaglie, poi a quella di Pavia, dove si distinse, sotto il comando del cugino, col quale era molto legato: e fu questo a proporlo per la nomina a comandante della fanteria, come risulta dallo stesso decreto reale di nomina, del 15 novembre 1525, a “…capitano generale della fanteria spagnola e italiana come ricompensa al suo servizio militare, principalmente in Pavia e cedendo al desiderio di suo zio (sic) il Marchese di Pescara” (MARTINEZ FERRANDO 1943, pag. 22 n. 180).   Morto il cugino senza eredi, nel 1525 aggiunse, ai titoli di Marchese del Vasto e conte di Monteodorisio, quello di Marchese di Pescara e altri titoli del defunto; in seguito i due marchesati resteranno uniti, fino ad identificarsi e confondersi fra di loro.

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            Finita la guerra, ai primi del 1504, e restati gli spagnoli padroni dei regni di Napoli e di Sicilia, la coppia reale Ferdinando e Isabella (Elisabetta) furono sollecitati a concedere formalmente quanto era stato pattuito fra Innico d’Avalos e il Gran Capitano, evidentemente da Costanza, rimasta la sola rappresentante della famiglia.  Il 10 maggio 1504 furono firmati alcuni privilegi, a Molino del Campo, ma soltanto di uno abbiamo copia del testo integrale, di altri abbiamo qualche notizia e, soprattutto, le conferme di Carlo V nel 1516.  Ed è da notare che, a parte Costanza, nel 1504 i beneficiati erano defunti, come abbiamo visto per Procida, e i loro eredi erano minori, quindi sotto tutela e rappresentati dalla stessa Costanza.

            La copia integrale suddetta riporta un privilegio per Francesco Ferdinando ed è pubblicata da COLAROSSI-MANCINI (1921 pp. 290-293), che la dice conservata nell’Archivio Comunale di Scanno: come si legge in fondo, il documento fu copiato dai Privilegiorum da un Aud. Tholomens, in data antica, imprecisata.  Vi si legge che il 10 maggio 1504, a Medina del Campo, “Ferdinandus et Helisabeth” non solo confermano la terra di Pescara e le altre che aveva ricevuto dai re precedenti, ma ne aggiungono altre, con tutti i diritti e privilegi, in forma perenne e successoria, a “Ferdinando Francesco d’Avalos e d’Aquino, Marchese di Pescara, Conte di Loreto e di Cetriani, Gran Camerlengo della Sicilia citeriore” (cioè del Regno di Napoli).

            Per Costanza abbiano notizia che, nella stessa data e nello stesso luogo, veniva elevato a ducato il suo feudo di Francavilla (COLAPIETRA 1999, pag. 118), ma dovettero esserci altri privilegi:  ricaviamo infatti dalla bibliografia, molto indirettamente e senza riferimenti precisi, che al tempo Costanza era “padrona” di Ischia come lo era stato il fratello Innico.  Nell’elenco LUISE, al n. 1362, è segnalato un fascicolo di copie di conferme, tra le quali: “…Conferma del privilegio di governatore d’Ischia della regina Giovanna e del re Carlo nel 1516 nella persona di Donna Costanza d’Avalos”, mentre al n. 2953 è indicata una pergamena “…del 26 luglio 1516 per conferma di privilegi sulla Città, Isola e Castello d’Ischia a pro di Costanza d’Avalos”.  Risulta, in effetti, che il 26 luglio 1516, da Bruselas, Carlo V le “...conferma la proprietà vitalizia del governatorato della città e isola d’Iscla…in virtù del privilegio che le fu concesso dai Re Cattolici” (MARTINEZ FERRANDO 1943, pp. 23-24 n. 193). E ci sono anche altre conferme: per Montescaglioso “…con titolo e onore di contado, in considerazione ai servizi prestati dai suoi predecessori nella difesa dell’isola d’Ischia contro i francesi” (n. 192), per Bellicastro e altre terre e rendite “...che le furono concesse da re Federico di Napoli” (n. 194), per Francavilla con titolo di ducato e Bellicastro con titolo di contado (n. 195), ancora per Francavilla (n. 196), ecc.

            Inoltre, come risulta dalla pergamena n. 3533 annotata da Luise, il 15 maggio 1504 la Duchessa di Francavilla otteneva ufficialmente “…curazia e tutela dei figli del Marchese di Pescara”.  

            Anche per Alfonso III o, meglio, per il Marchese del Vasto, nel 1516 ci furono conferme di precedenti privilegi, e ne sono annotati per il Marchesato, per la miniera di allume di Ischia, e per il contado di Monteodorisio (MARTINEZ FERRANDO 1943, pag 21 nn. 176, 177, 178): per quella di Monteodorisio è specificamente riportato, nella breve segnalazione,  che fu concesso dai re Cattolici in Medina del Campo, il 10 maggio 1504.

            Per quanto riguarda la miniera d’allume, nella prima metà del Settecento un importante “Maestro Razionale” di Palermo, quindi funzionario esperto in contabilità e legislazione feudale, morto nel 1753, trattando dell’allume, scriveva: “…Nell’anno 1504 dalla maestà del re Ferdinando il Cattolico fu concessa in feudo l’allumiera d’Iscla, la quale per difetto di materiale fu estinta non potendo percepire li frutti d’ essa  per mancanza della pietra dalla quale si faceva l’allume, pretendeva perciò per tal cosa l’Ill.mo marchese essere assolto dall’ Adhoa e dal collaterale” (FRANGIPANE,  pag. 211v. n. 136).

            A conferma, ma anche a complicare un po’ le cose, troviamo le affermazioni del Prefetto degli Archivj della R. Camera della Summaria e della Zecca (CESTARI 1790, pp. 72-73), che ha come riferimento gli atti della lite  del “Marchese di Pescara” (sic) col Regio Fisco per “…solutione adhoe pro ejus Lumera Ische”.  Scrive, infatti: “…Per la ribellione del Conte di Sarno queste Alumiere ritornarono nelle mani del Regio Fisco finché quella d’Ischia non si fusse concessa nel 1504 da Ferdinando ed Elisabetta ad Alfonso d’Avalos de Aquino Marchese di Pescara e Vasto…Nel 1501 il Marchese del Vasto fu citato dal R. Fisco al pagamento del Relevio, ed egli si difese con dire che l’Alumiera era di poco profitto”.  È evidente che l’autore sbaglia nel citare il “Marchese di Pescara” e farne tutt’uno con quello del Vasto, come era ai suoi tempi, perché nel 1504 i due marchesati erano divisi e saranno uniti soltanto nel 1525 in Alfonso (III d’Avalos).  Anche la data dell’ultima affermazione (1501) è ovviamente errata e deve trattarsi di un refuso, perché la lite non poteva essere iniziata prima della concessione del 1504, per la quale si pretendevano i tributi.

                Secondo D’ASCIA (1867, pp. 173-174) l’allumiera d’Ischia sarebbe stata concessa, nel 1504, dal “re cattolico” ad Alfonso d'Avalos d' Aquino “fratello di Costanza” (sic), con il diritto di “…poter trasportare detto allume dove volesse, franco di qualunque pagamento”.

            La lite, come sappiamo da un documento successivo, che vedremo, risale al 1517 e, non a caso, fa seguito alla conferma di Carlo V (26 agosto 1516). Con questa viene confermata, ad “Alfonso de Avalos de Aquino, Marchese del Vasto d’Ammone, Conte di Monteodorisio, Consigliere reale…la proprietà della “alumeria sive mina” de la Isla de Ischia con tutti i diritti e pertinenze, secondo il privilegio che gli concesse Don Fernando il Cattolico” (MARTINEZ FERRANDO 1943, pag. 21 n. 177).

            Al tempo della riconferma Alfonso aveva appena raggiunto la maggiore età (che al tempo era di 15 anni): per tempi precedenti, come detto, la miniera dovette essere gestita dalla zia, in suo nome o in nome del defunto fratello Innico.  Da testimonianze d’epoca, riportate da CESTARI (1790), risulta che agli inizi del Cinquecento il prezzo dell’allume era di due ducati al cantaro (pag. 37), che nel periodo compreso dal 1505 al 1514  quello prodotto a Ischia e importato a Napoli era soggetto “…alli diritti del majore fundaco & dogana di Napoli, & al tarì per onza che spettava a la gabella del buon denaro” (pag. 75), e che dal 1506 circa al 1517 l’allume di Ischia veniva portato alla dogana di Napoli, prima da Gaspare “de Scotio”, poi da Colanetto Imperato, e infine da Marco Antonio “de Scocio” (pag. 50). 

            La conferma del 1516 dovette stuzzicare le brame del famigerato fisco spagnolo, che si accorse di non aver percepito le tasse dovute sul privilegio, da qui il processo accennato dagli autori citati, del quale abbiamo un sommario, non datato. Il “Marchese del Vasto che ha l’allumiera dell’isola d’Ischia in regio feudo”, aveva chiesto di essere esonerato dal pagamento del relativo tributo annuo (adhoa)  e dalla tassa di successione (relevio): secondo il Regio Fisco per molti anni la lumera non era stata tassata, poi, a sua istanza fu tassata per 150 ducati l’anno, cifra che, secondo le informazioni assunte dallo stesso Regio Fisco, veniva pagata da precedenti concessionari, ma il marchese si era opposto adducendo a pretesto che aveva speso molto per metterla in funzione e che i proventi non erano quelli che aveva sperato; chiedeva, pertanto, di essere assolto dal pagamento dell’adhoa perché  “…non percepiva frutti, e nemmeno  avrebbe potuto percepirne per mancanza della pietra da cui si faceva l’allume” e, a tal fine, produceva sentenze precedenti favorevoli alla sua tesi.  Il Regio Fisco opponeva che, da informazioni prese, “…si trattava di luogo vastissimo e di territorio molto esteso, nei quali vi sono molte pietre (da far allume), e molte altre sono nascoste sotto terra e possono essere trovate scavando”, e produceva a sua volta sentenze ed opinioni giuridiche favorevoli alle sue tesi.  Per il tribunale, la questione era da trattarsi come nei casi di fondi terrieri, per i quali, “…il fisco dice, poiché non vuoi pagare l’adhoa, restituiscimi il fondo che ti diedi”, o come “…servitù e contratti ti do’ affinché tu faccia, ergo non facendo, e non servendo, il contratto è risolto o può essere risolto quando restituisci quello che prendesti”: in definitiva, “…in materia feudale è lecito non molestare chi è senza colpa” (CAPANI 1636, pp. 360-362).  Secondo le conclusioni di questo autore, “…per essere esentati dall’adhoa, la diminuzione del frutto, così come il reddito di un feudo, deve essere perpetua…tuttavia, pur non avendo il Marchese provata la perpetua distruzione, e la totale diminuzione, fu assolto temporaneamente dal pagamento del tributo fiscale” (pag. 202).

            Come possiamo leggere, con qualche difficoltà, in atti della Regia Camera di Sommaria pubblicati da DI LUSTRO (2022, pag. 42), per garantirsi il pagamento dell’adhoa il “Percettore  della Provincia di Terra del Lavoro…tiene sequestrate l’intrate della annona di Proceta  e quello residuo di Ducati 165 della lumera d’Ischa”:  a seguito della sentenza camerale del 30 maggio 1617 il pagamento era stato sospeso per due mesi, poi prorogati, il 24 agosto, grazie all’interessamento del Marchese di Pescara “…per parte di detto Illustre Marchese del Vasto”.  Quanto a “Proceta”, secondo i documenti “la Bagliva d’Ischia”, cioè il diritto sulle merci sbarcate a Procida, apparteneva ad Alfonso d’Avalos  Marchese del Vasto, erede di Innico, “…stante la cessione assignatone fattali di detta Isola de proceta predetto Don Cesare Pappacoda mediante istromento regio assenso registrato in Camera li 97”.

            Ricordiamo, per finire, che nel 1517 il Marchese del Vasto e conte di Monteodorisio (Alfonso III d’Avalos d’Aquino) era un giovane che appena iniziava la carriera militare, forse, mentre il cugino Francesco Fernando d’Avalos d’Aquino, Marchese di Pescara e conte di Loreto, era “Cameriere Maggiore e Consigliere del Collaterale per il Regno di Napoli” nonché  “Capitano generale di tutta la fanteria dell’esercito d’Italia”; inoltre, il 26 agosto 1516, gli era stato confermato  “…il governatorato e la castellania della città, isola e castello d’Iscla, dopo la morte della illustre donna Costanza d’Avalos de Aquino, «eius amice», attuale possessora del carico per privilegio di Fernando il Cattolico” (MARTINEZ FERRANDO 1943, pag. 25 nn. 202-207).  Più tardi, il 1° febbraio 1521, lo stesso Francesco Ferrando otteneva un privilegio secondo il quale “…nel caso morisse senza figli maschi né femmine, suoi eredi sarebbero stati i suoi cugini, cioè i fratelli don Alfonso d’Avalos d’Aquino, Marchese del Vasto d’Ammone e conte di Monteodorisio, e don Rodrigo d’Avalos d’Aquino, grazia che si concede considerati i rilevanti meriti della Casa d’Avalos” (Id. pp. 25-26, n. 209).

            Alla morte di Francesco Ferrando (1525) tutti i suoi beni e titoli saranno ereditati dal cugino  Alfonso perché, evidentemente, Rodrigo era nel frattempo deceduto, e nei successivi privilegi reali (1526-1536)  Alfonso è definito Marchese di Pescara, oltre che del Vasto (MARTINEZ FERRANDO 1943, pp. 22-23).  Nel 1528 “…terrae Piscariae et ejus passus” furono concessi a Costanza dal Viceré di Napoli (BROCCOLI 1884, pag. 26), in apparente contrasto col precedente privilegio reale di successione.  

            Per quanto riguarda Ischia, il 15 febbraio 1528 Alfonso ottenne anche la “Grazia in aspettativa” del Governatorato dell’isola d’Ischia “ad uso e consuetudine di Spagna” con tutti i privilegi, “…concessione che avrà effetto dopo la morte della illustre donna Costanza d’Avalos d’Aquino, duchessa di Francavilla, nonna (sic) di Alfonso e attuale governatrice con carattere vitalizio” (MARTINEZ FERRANDO 1943, pag. 22 n. 183).  Stando all’elenco LUISE (2012, pag. 266 n. 1872),  il 21 novembre 1528 ci sarebbe stata “…esecutoria del privilegio di concessione di governatore della città e casale d’Ischia ad Alfonso d’Avalos”, ma, stando alla concessione, per questa “Grazia” Alfonso avrebbe dovuto attendere a lungo e gederla soltanto pochi anni, dato che Costanza (sua zia) morì nel 1541, appena 5 anni prima di lui.    

 

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