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LA BIBLIOTECA DEL MUSEO STORICO DELL’ORO ITALIANO

 

PRESENTAZIONE

La Biblioteca del Museo Storico dell’Oro Italiano raccoglie libri, opuscoli e manoscritti che riguardano il minerale oro, i minerali che generalmente lo accompagnano e le attività minerarie che li hanno interessati, con particolare riguardo all’Italia.  I materiali sono stati raccolti nel corso della cinquantennale attività di ricerca storica ed esplorativa del dott. Giusdeppe Pipino: gli “sconfinamenti”, talora soltanto apparenti, talora sostanziali, sono dovuti ai suoi diversi interessi e alla necessità di conoscere meglio storia e natura di alcune località.

Dato che lo scopo era quello di avere alla mano quanto potesse servire per specifiche ricerche minerarie, oltre agli originali, quando possibile, sono state raccolte anche fotocopie di pubblicazioni e di documenti, in biblioteche ed archivi non soltanto italiani: da notare che oggi molti degli originali sono esclusi dalla riproduzione, altri sono introvabili, per cui le fotocopie possedute vanno a sostituirli e costituiscono delle rarità che vanno ad arricchire i non pochi esemplari originali rari, se non unici, posseduti dalla Biblioteca.  Per lo stesso scopo si è preferito estrarre quanto interessava da libri e riviste, talora anche materialmente: per questa ragione i periodici moderni maggiormente utilizzati non sono stati conservati, se non nel caso di numeri monografici.  Talvolta la pubblicazione estratta si riduce ad una pagina o anche meno, ma si tratta dell’unica parte interessante e disponibile per l’argomento trattato.  Sono state privilegiate le pubblicazioni più antiche cercando, quando possibile, di risalire alle fonti delle notizie e di acquisirne copia:  sono state trascurate, invece, molte pubblicazioni recentissime che, oltre a riproporre dati triti e ritriti, molto spesso forniscono errate indicazioni bibliografiche o non tengono conto delle informazioni precedenti, quando non le sconvolgono intenzionalmente per avvalorare tesi preconcette, come la presunta origine sinsedimentaria dei giacimenti metalliferi (vedi, per la Liguria BRIGO, FERRARIO, ZUFFARDI, per la Toscana TANELLI, per la Sardegna FIORI e compagni).  E, a proposito delle due ultime regioni, è stata limitata la raccolta degli scritti sull’oro “invisibile”, degli stessi autori, trattandosi di innumerevoli pubblicazioni ripetitive che smentiscono le loro tesi precedenti, non aggiungono molto a quanto pubblicato in precedenza dal dott. Pipino (1988, 1989) e si guardano bene dal riconoscere i loro precedenti errori e la priorità delle altrui scoperte.  E, a proposito di quest’ultimo aspetto, piace segnalare l’ennesimo imbroglio di “quelli della RIMIN”:  le informazioni sull’oro epitermale di LEONARDELLI e SUARDI sono riferite con data 1988, quando è noto che nel Workshop, tenuto a Castel Ivano di Trento, in quell’anno, gli Autori citati non toccarono affatto l’argomento, tranne poi aggiungerlo nel volume pubblicato nel 1990, a Roma, nel quale sono citati scritti fino allo stesso anno (1990), ma non quelle del dott. Pipino (1988 e 1989), dalle quali sono palesemente tratte le informazioni in questione.

Delle “Convenzioni per Ricerche di Base” eseguite dalla RIMIN per conto del Ministero dell’Industria, in tutt’Italia,  sono conservate soltanto alcune parti, reperite per confronti, non avendo ritenuto utile procurare copia di tutte le altre, sia per l’enorme mole della documentazione, sia per la sua completa inutilità.  La cosa va chiarita perché capita di trovarne citate alcune, come se si trattasse di ricerche serie.  A partire dal 1984, in periodi non sospetti, il dott. Pipino dovette esaminare quelle relative alla Calabria, al Trentino e alla Toscana Meridionale per conto della COMINCO, che era stata invitata dal Ministero a proporre programmi di ricerca più avanzati, rispetto a quelli presentati dalla società canadese, in quanto la fase geochimica preliminare sarebbe già stata eseguita dalla RIMIN: bastarono pochi approfondimenti per provare che l’ubicazione dei campioni raccolti e analizzati era del tutto campata in aria e che i risultati delle analisi chimiche non corrispondevano ai relativi minerali.  La cosa fu riconosciuta, per tutte le tre aree interessate, e il Ministero dovette ritornare sui suoi passi (come risulta dagli atti ufficiali dei relativi permessi poi ottenuti dalla COMINCO Italia).  In effetti, i prelievi di campagna erano stati eseguiti da studenti o neo-laureati privi di esperienza e le analisi erano state eseguite da laboratori messi su in fretta e furia da persone ed enti collegati alla RIMIN o ad altre società del Gruppo ENI.  In seguito ci si rese conto che le Ricerche di Base eseguite dalla RIMIN e quelle operative eseguite da altre società del Gruppo (SAMIM, AGIP Miniere, ecc.) dovevano nascondere qualche imbroglio, dato l’enorme impiego di denaro pubblico, spropositato rispetto alle operazioni eseguite e ai risultati ottenuti, cosa più volte denunciata pubblicamente dal dott. Pipino, sia con varie lettere ai diretti interessati, sia attraverso sue pubblicazioni (1989, 1992).  Al tempo non era ancora emerso quello che doveva invece essere ben noto agli addetti, e cioè che buona parte delle risorse stanziate dal Ministero finivano nelle mai di uomini e partiti politici: tutto venne alla luce con lo scandalo “Tangentopoli” e con l’inizio dell’inchiesta “Mani Pulite” (1992), che portarono all’arresto e al suicidio in carcere del presidente dell’ENI (1993).

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Buona parte del materiale raccolto riguarda ovviamente Piemonte e Valle d’Aosta, le nostre classiche regioni “aurifere”, e, per tempi recenti, Toscana meridionale e Sardegna, regioni scopertesi aurifere a seguito dell’attività esplorativa e degli studi storici e bibliografici del dott. Pipino.  E poiché tale attività ha riguardato in modo particolare la Liguria, ne consegue la ricca documentazione su questa regione.  Non sono però state trascurate le altre regioni italiane,  per le quali sono state espressamente cercate tutte le notizie sulla presenza dell’oro, anche le più insignificanti o astruse, non disdegnando di raccogliere altri materiali di qualche interesse giacimentologico o storico-minerario recuperati  nel corso delle ricerche. 

L’abbondanza di pubblicazioni archeologiche non è casuale.  Ad esse si è fatto ricorso per cercare nessi e legami fra antiche attività minero-metallurgiche e risorse metallifere locali, argomento che agli inizi della carriera del dott. Pipino era del tutto negletto, da noi, a causa dell’errata convinzione che l’Italia fosse povera se non del tutto priva di risorse metallifere.  Le risorse sono invece diffuse in gran parte del nostro Paese, e se oggi non offrono alcuna prospettiva economica non è stato sempre così, basti pensare che nella seconda metà dell’Ottocento l’Italia era fra i maggiori produttori europei di oro, di rame, di ferro, di manganese, di mercurio e di pirite.  Per i tempi antichi bisogna fare i conti con i discreti depositi auriferi alluvionali, specie quelli terrazzati completamente sfruttati dalle antiche popolazioni e dai Romani, oltre che con una infinità di piccoli affioramenti a solfuri misti che oggi possono apparire insignificanti ma che nell’antichità, e anche in un passato meno remoto, hanno potuto costituire discrete fonti di approvvigionamento d’argento, rame, ferro e altri metalli con i quali fabbricare in posto oggetti per i quali, quasi sempre, l’ “Archeologia” cerca invece produzioni lontane. Vanno poi considerati i depositi di allumite, coltivati per secoli per ottenerne l’allume, che pure hanno rappresentato un primato del nostro Paese e la cui presenza storica, del tutto dimenticata, aveva indirizzato il dott. Pipino verso la ricerca di oro epitermale negli stessi contesti giacimentologici.

La raccolta di materiali riguardanti giacimenti esteri, oltre quelli esplorati personalmente, è servita ovviamente per approfondimenti e per confronti:  utilissimi sono stati, in particolare, gli studi sullo sfruttamento di alluvioni aurifere in varie parti del mondo per risalire allo stato iniziale dei terrazzi auriferi presenti ai piedi delle Alpi e per comprenderne le modalità di lavorazione.  Inoltre, durante le ricerche è emerso un misconosciuto coinvolgimento di “cercatori” e di scrittori italiani nella ricerca dell’oro in vari paesi, ad iniziare da Cristoforo Colombo, che può ben essere definito il primo cercatore d’oro del Nuovo Mondo.  Logica quindi la raccolta specifica di testi “colombiani” e di pubblicazioni degli autori italiani che trattano di miniere d’oro in varie parti del mondo.  A proposito di questi, occorre specificare che alcuni non sono propriamente italiani, ma quasi:  Nesbitt era di madre italiana ed aveva vissuto molto in Italia;  Strozzi era del Canton Ticino;  Rolle è americano, probabilmente di origine italiana, e comunque il suo libro riguarda l’immigrazione italiane negli Stati Uniti;  Dianda è tedesco ma di origine italiana, come da lui dichiarato, in italiano, in una intervista televisiva. 

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Poiché lo scopo principale della raccolta è stata quella di avere alla mano, e di offrire uno strumento di consultazione quanto più immediato possibile per specifiche ricerche, libri e miscellanee sono ordinati secondo un ordine tematico-geografico.  L’indice alfabetico generale degli Autori consente di reperire questi nel settore specifico, eccettuato le collectanee, per le quali è stato inserito, in appendice, un indice sommario dei contenuti.   Nella seconda appendice è inserito l’indice della serie completa delle “Newslewtter of the ILGGM (International Liaison Group on Gold Mineralization), l’unico periodico conservato, sia perché completo e poco ingombrante, sia per la sua particolare aderenza alla tematica affrontata, sia per il particolare periodo di pubblicazione (1985-2004), periodo che vide un grande sviluppo delle attività minerarie aurifere, in tutto il modo, a seguito del discreto aumento del prezzo dell’oro.

Le pubblicazioni sono riportate seguendo uno schema di citazione bibliografica, in modo da consentirne il reperimento, quando possibile, anche in altre sedi.  La distinzione fra i libri veri e propri e gli opuscoli inseriti nelle miscellanee non è basata tanto sul numero di pagine, più o meno di 50, quanto sulla consistenza fisica e, soprattutto, contenutistica:  nelle miscellanee  sono state inerite anche le Note Illustrative della Carta Geologica, sia perché non tanto numerose da meritare una catalogazione a parte, sia perché generalmente esse sono molto avare di notizie minerarie.

A parte quelle collettive, riportate col titolo, le pubblicazioni vengono indicate a partire dal cognome dell’Autore, se non anonimo, seguito dal nome, per esteso o con la sola iniziale, così come compare nell’esemplare posseduto, senza ricorrere ad integrazioni che potrebbero risultare arbitrarie.  In caso di più autori, fino ad un massimo di tre vengono riportati tutti; se in numero maggiore si è preferito indicare soltanto il primo seguito da et AL. (et alii), dato che non poche pubblicazioni, anche di poche pagine, portano numerose firme.  I titoli delle pubblicazioni sono riportati in corsivo:  nel caso si tratti di parte di un volume, vengono riportati i titoli dei capitoli e del volume, virgolettati.  Seguono, per i libri, l’Editore la città e l’anno di pubblicazione, quando presenti, altrimenti viene evidenziata l’omissione (s.Ed., s.l., s.d.) magari inserendo fra parentesi quelli presunti o noti da altra fonte.  Segue il numero di pagine, indicando l’eventuale assenza (s.n.p.), e l’indicazione di eventuali tavole, figure o cartine fuori testo, indicate con abbreviatura (tavv.., figg., c. f.t.).  

Gli estratti “canonici” da riviste e da pubblicazioni cumulative, con copertina e, talora, numerazione di pagine propria, sono indicati espressamente, mentre non sono indicati come tali gli articoli originali “strappati” materialmente da riviste, le fotocopie e gli estratti originali più moderni, prodotti senza copertina. I titoli della riviste periodiche, così come quello di pubblicazioni cumulative e atti di convegni e mostre, sono riportati fra virgolette, generalmente in forma abbreviata ma facilmente risolvibile: poiché i lavori appartengono a diverse discipline,  si è preferito non usare le sigle proprie, difficilmente risolvibili per i non addetti: la Rivista Mineralogica Italiana, ad esempio, che si autosigla RMI, è indicata come Riv. Min. It.  Sono state mantenute, invece, le più note sigle SIM e SIMP, per i più noti e diffusi Rendiconti della Società Italiana di Mineralogia, poi diventata Società Italiana di Mineralogia e Petrologia.  L’abbreviatura Boll. Ass. Min. Sub. indica ovviamente il Bollettino dell’Associazione Mineraria Subalpina, edito presso il Politecnico di Torino, ma va specificato che negli ultimi anni vi è stata aggiunta la sigla GEAM, per Geologia Ambientale, che ha poi finito col sostituire completamente il vecchio titolo a seguito del crollo di interesse per le discipline minerarie.  La serie delle riviste è indicata espressamente (s.) solo quando compare sull’estratto o in testa all’articolo; seguono, quando presenti, l’annata e/o il numero del volume in numeri romani o arabi, come riportato nell’esemplare, l’anno della pubblicazione, che spesso non coincide con quello di stampa, dato il generale cronico ritardo nelle uscite, l’eventuale fascicolo e il numero delle pagine.  É indicato fra parentesi se trattasi di fotocopia.

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