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Giuseppe Pipino: Geologo-giacimentologo, prospettore minerario e cultore di storia mineraria e metallurgica.

 
 
 
profilo

 

 
 Foto di Giuseppe Pipino dalla pagina 4

Sintesi biografica

Nato a Napoli il 6 agosto 1942, da padre partenopeo e madre romagnola, dopo aver conseguito il diploma di Computista Commerciale (1961) aveva iniziato a lavorare come ragioniere, ma nel 1963 si trasferiva a Forli, dove è stato residente per alcuni anni pur abitandovi poco: su invito dei parenti, aveva accettato un lavoro stagionale come cameriere nell’Hotel Internazionale di Milano Marittima e, benché privo di esperienza, in pochi giorni era stato promosso da comis a chef de rang, grazie alla sua attitudine comunicativa, alla conoscenza, seppur scolastica, delle lingue inglese e francese, al rapido apprendimento delle fondamentali espressioni tedesche. In seguito, aggregatosi a un gruppo di camerieri itineranti, cominciò a lavorare in varie parti d’Europa, in occasione di stagioni turistiche, manifestazioni periodiche e occasionali convegni in varie città della Svizzera, della Germania, del Belgio e della Francia; per ultimo, nel 1967 si trasferì da Marsiglia a Genova e qui, con i soldi messi da parte, acquistò un ristorante e visse per alcuni anni con Tina, la compagna genovese. A Genova cominciò a frequentare il Gruppo Mineralogico Ligure e, desideroso di accedere all’Università, nel 1971 conseguì diploma di maturità scientifica, presso il Liceo Enrico Fermi. Volendo però frequentare la facoltà di geologia allora ritenuta più importante, si trasferì a Milano, assieme alla compagna, e a Milano è stato residente dal 1971 al 1991, Nel contempo abitava saltuariamente in campagna nell’Ovadese, fra Genova e Alessandria, territorio oggetto dei suoi primi studi scientifici e della prima attività professionale. Nel 1991 trasferì la residenza nel comune di Rocca Grimalda (AL), dove ancora risiede. Avendo perduto la compagna, per un male incurabile, nel 1996, ha sposato Irina, una insegnante russa conosciuta a San Pietroburgo in occasione di un convegno minerario, e da questa ha avuto l’unico figlio, Pier Paolo.

Marimonio ppino

Il matrimonio con Irina, nel 1995, nella chiesa di San Nicolao a San Pietroburgo

Marimonio ppino

Con un operatore durante il lavaggio di un terrazzo aurifero (ydrauliking) a Dawson City, nel 1990,

 

La Laurea, i contrasti scientifici e l’attività professionale

A Milano, oltre a seguire i corsi universitari, cominciò subito a frequentare il Gruppo Mineralogico Lombardo e a collaborare con la sezione mineralogica del Museo Civico di Storia Naturale. Nel 1972 ottenne l’attestato di frequenza, con profitto, della Scuola Nazionale di Speleologia del CAI. Nel 1975 conseguì la Laurea di dottore in Scienze Geologiche con una Tesi su “I giacimenti auriferi dei Laghi di Lavagnina nel Gruppo di Voltri orientale”, ed un a sottoTesi su “Indagini idrogeologiche e analisi chimiche delle sorgenti solfuree del Gruppo di Voltri”: gli studi specifici, compiuti presso l’Istituto di Petrografia, Mineralogia e Geochimica dell’Università di Milano, si inserivano in un ampio programma di ricerche multidisciplinari sull’imponente complesso ofiolitico appenninico, iniziate presso l’Istituto di Geologia, studi che portarono al pieno riconoscimento della sua appartenenza al dominio geologico alpino.

Dopo la laurea collaborò per un breve periodo con la Cattedra di Giacimenti Minerari, come contrattista del Consiglio Nazionale delle Ricerche, collaborazione che portò alla sua prima pubblicazione scientifica (1). Erano però iniziate, sin dalla compilazione della Tesi, contrasti ideologici con il relatore prof. Piero Zuffardi, neo-titolare della cattedra e preside della Facoltà, nonché “capo” della corrente dominante che vedeva l’origine sin-sedimentaria in tutti i giacimenti minerari, compresi i filoni auriferi alpini. Lo studio dettagliato delle mineralizzazioni aurifere del Gruppo di Voltri e la consultazione di testi anglosassoni su analoghe manifestazioni in varie parti del mondo, lo convincevano, invece, della loro origine idrotermale.

Nel 1977 costituì, con alcuni colleghi la TEKNOGEO Snc. Indagini Geognostiche Geologiche Idrogeologiche, iniziò a lavorare nel campo della geologia applicata e, nel contempo, a collaborare ai programmi di esplorazione mineraria, per nichel, rame e oro, della società americana Phelps Dodge e delle canadesi Noranda e Intermogul, riguardanti i complessi ofiolitici della Liguria. Le conoscenze acquisite portarono alla sua seconda pubblicazione scientifica(2), nella quale ne descrive tutte le mineralizzazioni e ne affronta autonomamente il problema genetico, optando decisamente per la loro origine metamorfica e idrotermale. La successiva partecipazione ad un convegno internazionale (Cipro 1979) e la conseguente pubblicazione, in inglese, del suo intervento sull’oro delle ofioliti liguri(3), lo misero in contatto, oltre che con ambienti accademici esteri, con altre compagnie minerarie americane e canadesi: la pubblicazione è citata, in innumerevoli studi internazionali, come esempio italiano di mineralizzazione idrotermale aurifera e, più in particolare, di deposito formatosi in rocce ultramafiche (listveniti o listwaeniti). Nel contempo pubblicava uno studio scientifico innovativo sulle sorgenti solfuree del Gruppo di Voltri, molte delle quali da lui scoperte, con analisi dell’acido solfidrico condotte direttamente alla fonte(4).

Nel 1982 è stato inserito nel roster internazionale dell’ONU, quale esperto in “Geological and Geochemical Exploration”, ed ha eseguito studi e ricerche sui giacimenti minerari legati alle ofioliti degli emirati arabi. Nel 1984 costituiva, a Milano, la nuova TEKNOGEO Snc. Indagini Geologiche e Minerarie, e intraprendeva prospezioni minerarie in varie zone d’Italia e all’estero, in partnership con le maggiori compagnie minerarie internazionali. In Italia, in collaborazione con la Cominco ed altre società minerarie ad essa associate, dirigeva o partecipava all’esplorazione dei depositi auriferi alluvionali dell’Orba, dell’Elvo e del Ticino, dei giacimenti auriferi e cupriferi contenuti nelle ofofioliti liguri, dei depositi di metalli di base nelle Alpi Marittime, nelle Alpi Venete, in Calabria e in Sicilia, delle manifestazioni cuprifere e dell’oro epitermale in Toscana Meridionale e Lazio. All’estero si occupava, in particolare, di esplorazione e coltivazione di mineralizzazioni legate alle ofioliti e di depositi auriferi, primari e alluvionali, in Canada, Bolivia, Cile, Mali, Guinea, Sierra Leone e Ghana.

 

La scoperta dell’oro epitermale (o invisibile) in Italia, e l’evoluzione delle teorie minerogeniche

Nel 1983, a seguito di corrispondenza col collega italo-americano Giancarlo Facca, autore di un articolo su presenza e coltivazione di “oro invisibile” in alcuni giacimenti statunitensi(5), cominciava ad interessarsi, saltuariamente, della possibile presenza di manifestazioni aurifere epitermali in Toscana meridionale, giungendo presto alla individuazione delle prime evidenze, esagerate dalla stampa locale(6) ma ignorate dalle società minerarie parastatali espressamente interpellate, nonostante che esse eseguivano annose ricerche nella zona, servendosi della consulenza di cattedratici fiorentini, i quali, seguaci della “teoria nettunista” sostenuta da Zuffardi, non credevano alla possibile esistenza di questo tipo di mineralizzazioni. Grazie anche alla collaborazione del geologo italo-canadese Luca Riccio e alle analisi dei campioni compiute in Canada, individuava alcuni caratteristici depositi nelle province di Grosseto e di Roma, per i quali nel 1986 chiese alcuni “permessi di ricerca mineraria” per conto della neo costituita Cal-Denver Italia Srl: nelle prescritte relazioni tecniche da lui compilate, e riprese come scoops dalla stampa locale (7), sono contenute le prime osservazioni scientifiche, in senso assoluto, di questo tipo di mineralizzazione in Italia.

Il clamore suscitato dalla vicenda provocò l’intervento delle compagnie minerarie parastatali che bloccarono a livello ministeriale le domande, le quali avevano avuto parere favorevole dai locali distretti minerari, e la ricerca fu da esse assunta e monopolizzata. La Cal-Denver presentò ricorso al TAR(8), ma poi dovette accontentarsi di un accordo economico con l’Agip Canada, mentre alla Teknogeo fu offerto un sostanzioso contratto di consulenza dall’Agip Miniere: questo prevedeva la collaborazione del dottor Pipino in Toscana e la compilazione, da parte sua, di un inventario degli indizi d’oro in tutta Italia, ad iniziare dalla Sardegna dove, sulla base delle sue precedenti indicazioni, la compagnia statale stava iniziando rapporti di collaborazione con quelle regionali. Le indicazioni positive del dott. Pipino, per la Sardegna, si basavano su considerazioni giacimentologiche scaturite dallo studio geologico di aree storicamente indiziate per alterazione idrotermale e presenza di minerali associabili all’oro epitermale (allume e solfosali di rame), e portarono all’apertura della miniera di Furtei e all’individuazione di altri giacimenti nel Sassarese(9). Nel corso di un convegno a Torino, nel dicembre del 1989, l’amministratore della società regionale che si era pubblicamente attribuita la scoperta del giacimento di Furtei, fu costretto ad ammettere: “…certamente ha dato tanto nel settore aurifero italiano, e mi pare che pubblicamente non possiamo che riconoscerlo al Dott. Pipino, che possiamo definire il pioniere delle ricerche aurifere in Italia” (10)

Le indagini e lo studio delle mineralizzazioni aurifere epitermali individuate portarono, nel 1988, alle sue prime pubblicazione scientifiche sull’argomento riferite a depositi italiani, le quali contengono la loro prima caratterizzazione giacimentologica e le prime ipotesi minerogeniche(11). E questo mentre veniva pubblicato, da due ricercatori fiorentini, uno “state of art” scaturito da decennali ricerche sulle mineralizzazioni della Toscana Meridionale, nel quale gli autori ignorano del tutto la possibile presenza di oro epitermale e parlano, ancora, di “modelli genetici più complessi di tipo sedimentario-metamorfico”(12), salvo poi cercare di attribuirsi, in pubblicazioni successive, la primogenitura degli studi sui depositi ad oro epitermale della Toscana meridionale e della Sardegna, per i quali non portano alcun sostanziale contributo innovativo rispetto alla caratterizzazione giacimentologica e genetica delle mineralizzazioni, già enunciata da Pipino, e nessuna aggiunta al suo elenco dei depositi indiziati. Di fatti, in un articolo divulgativo pubblicato alla fine del 1988, ignorando completamente l’attività e le pubblicazioni precedenti, uno dei due cattedratici fiorentini pubblicava un generico articolo sull’oro che, per quanto riguarda quello “invisibile”, si rifaceva a quello di Facca e, nonostante il richiamo nel titolo (“ricerche per oro epitermale in Italia”), non forniva il benché minimo elemento specifico e riconosceva di non disporre di alcun dato concreto(13): ciò nonostante questa pubblicazione sarà poi citata, dall’autore e da suoi collaboratori e colleghi, come la prima sull’argomento. Questo anche a seguito dell’irritazione provocata dalla pubblicazione, nel 1989, di un altro esteso articolo nel quale Pipino, oltre a ribadire i dati acquisiti nelle ricerche in tutt’Italia, denunciava l’arretratezza degli ambienti accademici italiani e la loro collusione con le società minerarie parastatali(14) Le “accuse” venivano poi pubblicamente ribadite e provate nel 1992(15), pochi mesi prima che, con lo scandalo Tangentopoli e l’inizio dell’inchiesta giudiziaria “Mani Pulite”, venisse fuori che anche le ingenti risorse pubbliche erogate alla società parastatali per la cosidetta “ricerca mineraria di base”, basata su consulenze “accademiche”, servivano soltanto a sovvenzionare, in modo occulto, partiti e uomini politici(16).

Per quanto riguarda l’aspetto scientifico, l’espresso invito contenuto nella pubblicazione del 1989, di “…considerare la possibile migrazione di convogli a bassa termalità…senza ostinarsi a difendere a tutti i costi modelli metallogenici di moda”, ebbe il suo effetto e, a ragione, nell’introduzione del volume “Oro, Miniere, Storia” (2003), Pipino può rivendicare “…l’apporto dato alla cosiddetta evoluzione del pensiero giacimento logico nostrano”. Non a caso, alla definizione di “giacimentologo” del nuovo Vocabolario Treccani è associato, unicamente, il suo nome.

 

La ricerca mineralogica, la “pesca dell’oro” e la raccolta di materiali

A Milano, oltre a seguire i corsi universitari, Pipino iniziò subito a frequentare la Società Italiana di Storia Naturale e il Gruppo Mineralogico Lombardo, nella sede del Museo Civico di Storia Naturale, e a partecipare, con i due sodalizi, ad escursioni naturalistiche e mineralogiche in Lombardia e nelle regioni limitrofe. Poteva così unire, alle nozioni teoriche dell’Università, la conoscenza diretta di minerali e fossili raccolti personalmente o facenti parte delle collezioni museali e, specie per i minerali, a costituire una discreta raccolta personale, senza però diventare un fanatico collezionista. Lo studio dei minerali raccolti portava, spesso, a specifiche pubblicazioni nella Rivista Mineralogica Italiana, della quale è stato redattore dal 1980 al 1995. Nel contempo, collaborava attivamente con il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino per la compilazione dell’ “Inventario Mineralogico Piemontese”. Alcune delle sue pubblicazioni mineralogiche assumevano rilievo ed importanza innovative: tra queste, lo studio della miniera di rame di Voltaggio e dei suoi minerali, alcuni dei quali, di novità assoluta (solfato-carbonati idrati di rame, manganese e alluminio), studiati e conservati all’Università di Pisa(17), e la descrizione delle “granatiti” e dei minerali contenuti (18), alcuni dei quali, rari o unici, come granato melanite e perowskite dell’alta valle dell’Orba, donati al Museo di Storia Naturale di Genova.

A seguito della Tesi affidatagli all’Università di Milano, l’interesse andò focalizzandosi sull’oro e sulla sua presenza in Italia, presenza che, nonostante i trascorsi storici, all’inizio della sua carriera era misconosciuta, sottovalutata o del tutto negata, anche a livello accademico. Assieme ad alcuni soci del Gruppo Mineralogico Lombardo apprese le prime pratiche di “pesca dell’oro” nel Ticino, usufruendo dell’esperienza e della disponibilità di alcuni vecchi cercatori, e ben presto estese la pratica e le ricerche il tutto il bacino padano, approfondendone gli aspetti storici, culturali e minerari. A richiesta, nel 1981 teneva una specifica conferenza presso il Politecnico di Torino su “L’oro della Val Padana” che, pubblicata l’anno successivo(19), rappresenta l’indiscusso primo punto di riferimento delle attuali conoscenze storiche e scientifiche sull’argomento. Successivamente pubblicherà articoli specifici sull’oro dell’Orba(20), della Dora Baltea(21) dei torrenti del Biellese(22), nel Ticino(23) del sottosuolo di Milano(24) e della Pianura Padana in generale(25), frutto delle specifiche ricerche storico-bibliografiche e delle personali esplorazioni minerarie, eseguite anche utilizzando piccoli macchinari ed impianti pilota da lui ideati. Nel 1984 brevettò strumentazioni atte a recuperare oro e altri minerali pesanti dalle sabbie prodotte negli impianti di cava(26): gli intralci burocratici e l’indisponibilità collaborativa dei gestori impedirono l’avvio di imprese industriali serie, ma si sviluppò una intensa attività di raccolta sparsa, più o meno occulta, con produzione totale, annua, di alcune diecine di chilogrammi d’oro.

Per convincere gli scettici sulla reale presenza dell’oro, alla fine degli anni ‘70 , del Novecento, iniziò ad organizzare visite guidate alle miniere d’oro del Gorzente e manifestazioni di raccolta nei fiumi auriferi, ad iniziare dall’Orba. Nel 1985 organizzò il Campionato Mondiale di Cercatori d’oro ad Ovada, manifestazione che vide la partecipazione di numerosi appassionati provenienti da tutto il mondo ed ebbe un enorme risalto in tutti i mezzi di informazione. Continuò, per anni, ad organizzare campionati e manifestazioni di raccolta in varie parti d’Italia, fino al successivo campionato del Mondo organizzato a Vigevano nel 1989. Questo portò al prolifera degli appassionati, guidati anche dalle sue pubblicazioni. Nel contempo, aveva preso a raccogliere tutte le testimonianze possibili: nel 1981 costituì una prima raccolta sull’oro dell’Orba a Casalcermelli(20), nel 1987 il Museo Storico dell’Oro Italiano a Predosa(27), nel 2020 la raccolta specifica, per la valle dell’Orba, presso la Cascina Merlanetta di Casal Cermelli(28).

Definito, per queste sue attività, il “profeta dell’oro”, nel 2020 è stato inserito nel volume “Gente di Piemonte” di Carlo Patrini(29).

 

La ricerca storico-bibliografica e le revisioni su vicende e tecniche minerarie e metallurgiche

Nel corso della preparazione della Tesi di Laurea, Pipino si rese conto che, trattandosi di antiche miniere, notizie utili potevano venire, oltre che dall’approfondimento della Bibliografia precedente, più o meno nota, dalla ricerca di documentazione inedita. Iniziò cosi la frequentazione dei principali archivi italiani, a cominciare da quelli di Genova, poi di Torino, di Milano, ecc., proseguita per decenni con ottimi risultati, in quanto, grazie alle conoscenze tecniche, poteva meglio valutare le informazioni storiche e le loro conseguenze. I materiali acquisiti, in originale o in copia, gli permisero di costituire una Biblioteca e un Archivio specialistici, i cui cataloghi, pubblicati rispettivamente nel 2009 e nel 2014, saranno poi continuamente aggiornati nel sito www.oromuseo.com. I documenti minerari raccolti gli consentivano, inoltre, di pubblicare repertori particolari per la Liguria(30), per gli Stati Viscontei e Sforzeschi(31) e per gli Stati Sabaudi(32), nonché per aspetti particolari come la regalia mineraria(33) e la raccolta medievale dell’oro nei fiumi della Pianura Padana (34). Le pubblicazioni, tutte innovative o contenenti indubbi elementi di novità, saranno poi raccolti in volumi miscellanei e, in parte, postate su Academia.edu: queste, oggetto di migliaia di visualizzazioni da parte di interessati, contribuiranno in modo decisivo ad accrescere le conoscenze specifiche e a correggere precedenti errori. In particolare, la pubblicazione del repertorio di concessioni minerarie rappresenta una fondamentale tappa di conoscenze per la storia del diritto minerario e dimostra che le miniere, sepolte o superficiali, sono da sempre appartenute al “sovrano” o alla “Stato” ed esulano dalla proprietà del suolo, come invece sostenuto in secolari dibattiti, da molti giuristi. E lo stesso dicasi per la raccolta dell’oro fluviale in epoca medievale, per la quale chiariva, tra l’altro, la questione della valutazione del metallo che, venduto obbligatoriamente alle zecche statali, come risulta da un noto documento altomedievale (Honorantie Civitatis Papiae), era stato oggetto di fallaci interpretazioni in numerose pubblicazioni storico-economiche, che non tenevano conto dell’effettivo e vario contenuto del metallo nel minerale, cioè del titolo dell’oro raccolto(24)(34). Per quanto riguarda il Ticino evidenziava, inoltre, che la raccolta storica non poteva essere considerata unitariamente, ma andava raccontata per singole tratte(24). Per quanto riguarda gli Stati Sabaudi, oltre ad evidenziare come fossero sbagliati i giudizi sulle attività minerarie settecentesche dello Stato Sabaudo e su singoli “tecnici”, espressi in numerose pubblicazione piemontesi, provava che la “Scuola Mineralogica”, fondata a Torino nel 1752, era stata la prima “Accademia Mineraria” formalmente costituita, primato erroneamente vantato da alcuni centri minerari europei e completamente ignorato dagli studiosi italiani(35).

Gli stessi criteri di raccolta della documentazione e della valutazione di questa sulla base delle sue conoscenze tecniche, serviranno anche a chiarire alcuni aspetti storici riguardanti la metallurgia. Il suo studio sull’amalgamazione dei minerali auriferi e argentiferi, pubblicato dal Politecnico di Torino, consentiva di correggere illazioni ed errori sull’argomento, e resta fondamentale per la conoscenza della sua reale applicazione storica e tecnica(36). E fondamentali restano le sue pubblicazioni sulla siderurgia storica e sui minerali realmente utilizzati nelle varie epoche, le quali, oltre a rivalutare il procedimento genovese del basso fuoco, sottostimato dagli stessi ricercatori locali(37), provano che, contrariamente a quanto sostenuto da pressoché tutti gli storici di antiche miniere e di antichi procedimenti siderurgici, la magnetite non era, e non poteva essere utilizzata negli antichi procedimenti e che il suo utilizzo, in siderurgia, è iniziato a metà del Cinquecento(38). Da segnalare, a tale riguardo, che nell’isolata località “Le Cave” di Fiorino, nel territorio metropolitano di Genova, il Comune ha apposto una targa bilingue riportante un brano sull’attività estrattiva e siderurgica della zona, nel Cinquecento, tratto dalle sue pubblicazioni.

 

Le precisazioni di storia antica e le scoperte archeologiche

La ricerca storica sulle miniere italiane, spinte sempre più indietro nel tempo, lo porteranno a doversi interessare di autori classici e di resti archeologici, nonché a confrontarsi (e scontrarsi) con le relative interpretazioni.

Nel primo anno di Università aveva frequentato un corso di Paletnologia tenuta da Ferrante Rittatore Vonwiller e Francesco Fusco, apprendendo i primi rudimenti di archeologia. Da subito aveva cominciato a raccogliere gli scarsi e dispersi brani degli autori classici sulle risorse minerarie italiane e ad aggiornarne continuamente il repertorio con sempre maggiori osservazioni ricavate dalle sue esperienze, le quali, in molti casi, consentivano di correggere stravolgimenti interpretativi e codificate illazioni riguardanti il diritto minerario romano, l’istituto della “damnatio ad metalla”, la presenza e/o estrazione di minerali e metalli nell’ Isola d’Elba, ad Arezzo, a Ischia, in Calabria, Sicilia e Sardegna (39), argomenti trattati anche in singoli articoli, specifici e innovativi. E, per logica connessione storica con quelle italiane, analizzava anche le presunte “aurifodine” romane di Las Medulas in Spagna, dichiarate patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco a seguito di numerose pubblicazioni, dimostrando l’infondatezza delle argomentazioni addotte ed evidenziando prove contrarie (40).

Per la Liguria, oggetto di molti suoi articoli mineralogici e storico-minerari, gli si presentò il problema del riconoscimento delle popolazioni preromane che, per prime, se ne erano interessate, giungendo alla conclusione che, contrariamente all’opinione diffusa e codificata, le fonti classiche e le iscrizioni antiche non attestavano affatto che i cosiddetti Liguri erano stati una antica e diffusa etnia mediterranea e che, anche “dal punto di vista della cultura materiale, l’unico che siamo in grado di afferrare e, tutto sommato, l’unico che ci interessa, appartengono certamente al mondo celtico”(41). L’articolo fu ripubblicato nel volume miscellaneo del 2000 e non sfuggì all’attenzione di storici dell’antichità e di archeologi fermi, però, sulle loro illazioni e ipotesi preconcette: queste furono in gran parte abbandonate a seguito del suo successivo articolo, dichiaratamente esagerato e provocatorio (42). Nel contempo affrontava la questione del “Possibile sfruttamento antico della miniera di Murialdo-Pastori” mettendola in relazione, anche con specifiche analisi chimiche, con una panella di rame trovata nelle vicinanze (43): l’articolo contiene le prime fondate osservazioni sulla metallurgia antica della Liguria Occidentale, proseguite poi da funzionari della Soprintendenza Archeologica della Liguria con la sua collaborazione (44).

Il maggior interesse storico-archeologico per i resti di ”aurifodine” romane, iniziato a metà degli anni ‘80 del Novecento (45) lo porteranno alla sempre maggior definizione di quelle dell’Ovadese (46), della Dora Baltea (21), del Biellese (47), della valle del Ticino(48), e di altre minori da lui evidenziate nel Bacino Padano, oltre che in Boemia (41) e nel Canton Ticino (49). Il loro studio, e il confronto con quelle esistenti in altri paesi, gli consentirono di tracciare la loro caratterizzazione generale(50) e di pubblicarne un volume specifico(51). Quelle della Bessa, nel Biellese, in precedenza erano state oggetto di molte pubblicazioni, specie da parte di funzionari della vecchia Soprintendenza Archeologica per il Piemonte che le confondono arbitrariamente con quelle dei Salassi, citate da Strabone (52), e contengono non pochi illazioni e invenzioni riguardanti presunte emergenze storiche, tecniche e archeologiche(53). Nel primo organico studio su quelle aurifodine(54) porterà le prime prove a sostegno dell’inesistenza della presunta popolazione dei Vittimuli (o Ictimuli) che le avrebbero coltivate, esistenza riportata addirittura nell’Enciclopedia Italiana; il successivo approfondimento storico-bibliografico, condotto anche su antichi codici della “Storia Naturale” di Plinio, porteranno alla definitiva cancellazione di quella presunta esistenza(55), nonostante qualche nostalgica e preconcetta resistenza(56)). L’indagine specifica sull’antico toponimo lo aveva portato anche a studiare, e a risolvere, il problema dell’identificazione forzata con altri simili o assimilati arbitrariamente dagli autori, e a concludere che la località della famosa prima battaglia fra Scipione e Annibale, controversa in centinaia di pubblicazioni, non va localizzata “presso il Ticino”, ma “presso Ticino” cioè presso il vico che aveva lo stesso nome del fiume, quindi presso l’odierna Pavia.

Per quanto riguarda le miniere d’oro dei Salassi, già nel 1987 Pipino ne aveva segnalate alcuni resti alla vecchia Soprintendenza Piemontese, avvertendo che si trattava probabilmente di quelle ricordate da Strabone ed erroneamente confuse con quelle romane della Bessa. La sua segnalazione e le successive maggiori specifiche andavano però a collidere con interessi particolari e con quanto affermato in pubblicazioni da alcuni dei funzionari, e furono pertanto ignorate e boicottate(47). Questo non gli impedì di continuare le ricerche, di scoprire altri resti, studiarli e descriverl(57). Nel contempo, a partire dal 2000, cominciava ad individuare i resti di un Limes costruito dai romani a difesa delle miniere sottratte ai Salassi, anch’esso volutamente ignorato e boicottato dagli stessi funzionari per la ragioni suddette(58). Anche in questo caso continuò comunque le ricerche definendo sempre più in dettaglio le evidenze trovate(59) e pubblicando, in volume, il complesso delle emergenze archeologiche scoperte a valle dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea(60). Nell’ultima pubblicazione metterà in evidenza come l’osservazione dei resti archeologici da lui evidenziati agevolano la corretta lettura degli autori classici, consentono di cancellare illazioni e invenzioni di quelli moderni, e impongono di riscrivere la storia antica del territorio compreso fra eporediese e vercellese(61).

Riconoscimenti

  • Iscrizione, nel 1982, nel roster internazionale dell’ONU, quale esperto in “Geological and Geochemical Exploration”.
  • Indicazione del suo nome, in forma esclusiva, a significare il termine giacimentologo nelle edizioni recenti del Vocabolario Treccani, e riferimento, pure esclusivo, a sua pubblicazione per il termine xenoblasto nel Vocabolario Storico Italiano 2019 .
  • Innumerevoli lettere formali di riconoscimento e apprezzamento per la sua attività, in particolare da parte di: USA Geological Survey di Denver (1977), Museo Civico di Storia Naturale di Genova (1979 e 2021), Falcon Bridge Nickel Mines Lmt. di Toronto (1979), Commissione delle Comunità Europee (1982), Società Italiana di Scienze Naturali di Milano (1985), Banca Popolare Svizzera (1987), Homestake Int. Min. Ltd di Vancouver (1987), Agip Miniere di Milano (1989), CNR Ist. Tratt. Min. di Roma (1990), Scuola del Corpo Forestale dello Stato di Cittaducale (1991), Technische Universitat di Munchen (1995), The Natural History Museum London (1996), Istituto Gemmologico Italiano di Milano (1999), Università degli Studi di Genova (2003), Politecnico di Torino (2003), Mineralientage di Munchen (2008), Ist. Univ. Suor Orsola Benincasa di Napoli (2009), Direzione Generale Beni Culturali del Piemonte (2010), Soprintendenza Archeologica per il Piemonte (2010), Università di Bologna (2010), ecc.
  • Conferimento ufficiale, nel 1985, dello Stemma di Ovada, in filigrana di oro e argento, massima onorificenza del Comune.
  • Inserimento di suo profilo nel libro “Gente del Piemonte” di Carlo Patrini, Ed. “La Biblioteca di Repubblica”, Roma 2010, pp. VII (84) e 189-190.

Opere principali

N.B. I volumi miscellanei raccolgono alcuni degli articoli pubblicati in precedenza, raggruppati per argomento; nel sito Academia.edu ne sono riportati 67, scaricabili, e sono riportati dati e indici di 15 libri).

  1. Pipino G. I giacimenti metalliferi del Piemonte Genovese. Tip. Viscardi, Alessandria 1982.
  2. Pipino G. Sorgenti e acque minerali di Castelletto d’Orba (Provincia di Alessandria). Comune di Castelletto d’Orba – Amministrazione Provinciale di Alessandria, Tip. Pesce, Ovada 1986.
  3. Pipino G. La raccolta dell’oro nei fiumi della Pianura Padana. Tip. Novografica, Valenza 1989.
  4. Pipino G. L’amalgamazione dei minerali auriferi e argentiferi. Una innovazione metallurgica italiana ai tempi dell’Agricola. “Collana Monografie” n. 1, Politecnico di Torino, Museo delle Attrezzature. CELID, Torino 1994.
  5. Pipino G. Novi Ligure e dintorni. Miscellanea Storica. “Memorie dell’ Accademia Urbense” n. 24, Ovada 1998.
  6. Pipino G. Le Valli dell’Oro. Miscellanea di geologia, archeologia e storia dell’Ovadese e della bassa Val d’Orba. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2000.
  7. Pipino G. Le miniere d’oro delle valli Gorzente e Piota. Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo – Museo Storico dell’Oro Italiano, Tip. Artistica, Savignano 2001.
  8. Pipino G. Oro, Miniere, Storia. Miscellanea di giacimentologia e storia mineraria Italiana. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2003.
  9. Pipino G. Liguria Mineraria. Miscellanea di giacimentologia, mineralogia e storia estrattiva. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2005.
  10. Pipino G. Documenti minerari degli Stati Sabaudi. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2010.
  11. Pipino G. L’oro del Biellese e le aurifodine della Bessa. Miscellanea di giacimentologia, archeologia e storia mineraria. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2012.
  12. Pipino G. Lo sfruttamento dei terrazzi auriferi nella Gallia Cisalpina. Le aurifodine dell’Ovadese, del Canavese-Vercellese, del Biellese, del Ticino e dell’Adda. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2015.
  13. Pipino G. Oro, Miniere, Storia 2. Miscellanea di giacimentologia, archeologia e storia mineraria. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2016.
  14. Pipino G. Minerali del ferro e siderurgia antica: alcune precisazioni. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2016.
  15. Pipino G. Miniere d’oro e limes romano anti-Salassi tra Canavese, Vercellese e Biellese. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2018.
  16. Pipino G. La “Ruina Montium” di Plinio e la mineria aurifera romana nelle Asturie: osservazioni critiche alla presunta applicazione a Las Medulas e alle aurifodine della Bessa. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2020.
  17. Pipino G. Miniere d’oro dei Salassi e romanizzazione del Vercellese occidentale e dell’Eporediese: una storia da riscrivere. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2021.

Note e collegamenti esterni

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  2.  Pipino G. Alcune considerazioni sui giacimenti delle ofioliti liguri. “L’Industria Mineraria” a. XXIX, 1978, pp. 97-107.
  3.  Pipino G. Gold in Ligurian ophiolites (Italy). “Prooceding International Ophiolotes Symposium, Cyprus 1979”, Cipro 1980, pp. 765-773.
  4.  Pipino G. Le sorgenti solfuree del Gruppo di Voltri (Appennino ligure-piemontese). “NATURA” a. LXXII, 1981 n. 3-4, pp. 240-252.
  5.  Facca G. L’oro invisibile. “Le Scienze” n. 165, 1° maggio 1982, pp. 36-49.
  6.  NAZIONE, 19 febbraio 1984: E la Toscana levò un grido: oro. Ce n’è dappertutto secondo un geologo.
  7.  NAZIONE, 25 giugno 1986: Giacimenti d’oro in Maremma. Una società canadese vuol fare ricerche tra Capalbio e Manciano. IL MESSAGGERO, 5 agosto 1986: Giacimenti auriferi a nord di  Civitavecchia. Lo sostiene il geologo Giuseppe Pipino.
  8.  NAZIONE, 6 novembre 1987: Per l’oro della Maremma esposto dei canadesi contro l’Agip Miniere.
  9.  Pipino G. L’oro in Sardegna. Da: Inventario eseguito per conto AGIP Miniere, 1987.
  10.  Nuove prospettive per il settore estrattivo…in Sardegna. Interventi e discussioni. “Bollettino dell’Associazione Mineraria Subalpina” a. XXVII n. 3, 1990, pag. 584.
  11.  Pipino G. Manifestazioni aurifere epitermali in Toscana Meridionale. “Bollettino dell’Associazione Mineraria Subalpina” a. XXV, 1988 n. 1, pp. 119-126.
  12.  Tanelli G., Larranzi P. Metallogeny and mineral exploration in Tuscany: state of the art. “Memorie della Società Geologica Italiana” 31(1986), 1989 pp. 299-304.
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  21.  Pipino G.  L'oro nel fronte meridionale dell'anfiteatro morenico d'Ivrea e nella bassa pianura vercellese. “ArcheoMedia, L’Archeologia on-line” a. VII n. 17, 16 settembre 2012.
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  25.  Pipino G. La raccolta dell’oro nei fiumi della Pianura Padana. Tip. Novografica , Valenza 1989.
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  28.  L’oro dell’Orba e la sua storia nel museo di “Cascina Merlanetta” a Casal Cermelli.
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  30.  Pipino G.  Documenti su attività minerarie in Liguria e nel dominio genovese dal Medioevo alla fine del Seicento. “Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria” n.s. XXXIX, 2003, pp. 39-111
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  34. Pipino G. Documenti medievali sulla raccolta dell'oro in Val Padana,
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  40.  Pipino G. La “Ruina Montium” di Plinio e la mineria aurifera romana nelle Asturie: osservazioni critiche alla presunta applicazione a Las Medulas e alle aurifodine della Bessa. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2020.
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  42.  Pipino G. I Liguri? Mai esistiti! “ArcheoMedia. L’Archeologia on-line”, 30 dicembre 2004.
  43.  Pipino G. Possibile sfruttamento antico della miniera di Murialdo-Pastori
  44.  Del Lucchese A., Delfino D., Pipino G. Metallurgia protostorica in Valle Bormida. In “Archeologia in Liguria”, nuova serie Vol. I, 2004-2005, Genova 2008, pp. 35-57.AA.VV. L’attività metallurgica nel castellaro di Bergeggi. In “ Monte S. Elena (Bergeggi - SV). Un sito ligure d'altura affacciato sul mare”. Scavi 1999-2006” . All’Insegna del Giglio, Firenze 2009, pp. 204-2012.
  45.  Pipino G. La febbre dell’oro degli antichi romani. “Scienza e Vita Nuova”, giugno 1990, pp. 32-37.
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  47.  Pipino G. L’oro del Biellese e le aurifodine della Bessa. Miscellanea di giacimentologia, archeologia e storia mineraria. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2012.
  48.  Pipino G. Resti di aurifodine sulla sponda piemontese del Ticino in Provincia di Novara. “Bollettino Storico per la Provincia di Novara” a. XCVII, 2006 n. 1, pp. 289-335.
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  50.  Pipino G. Aurifodine e sfruttamento dei terrazzi auriferi. “ArcheoMedia. L’Archeologia on-line” a. VIII n. 22, novembre 2013.
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  52.  Pipino G. Le miniere d’oro dei Salassi e quelle della Bessa. “L’Universo” a. LXXXV, 2005 n. 5, pp. 629-643.
  53.  PIPINO G. Emergenze archeologiche, vere e presunte, nelle aurifodine della Bessa. “Auditorium. Ricerche, studi, e saggi on line”, 27 luglio 2010.
  54.  Pipino G. L’oro della Bessa. “Notiziario di Mineralogia e Paleontologia” 1998 n. 12, inserto pp.I- XVI.
  55.  PIPINO G. Ictumuli: il villaggio delle miniere d’oro vercellesi ricordato da Strabone e da Plinio. “Bolletino Storico Vercellese” a. 58, 2000 n. 2, pp. 5-27. Id. Le aurifodinae delle Bessa, nel Biellese, e la presunta popolazione dei Vittimuli. “Bollettino Storico Vercellese” a. 62, 2004 n.1, pp. 5-13.
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  57.  Pipino G. L’oro nel fronte meridionale dell’anfiteatro morenico d’Ivrea e nella bassa pianura vercellese. Interesse storico, conseguenze geopolitiche, testimonianze archeologiche. “ArcheoMedia. L’Archeologia on- line”, a. VII n. 17-18, 16 settembre 2012.
  58.  Pipino G. A proposito di “Oro, pane e scrittura”, Salassi, aurifodine di Ictimuli e lapidi funerarie. “Academia.edu”, 6 agosto 2016.Id. Il fantastico cromlech di Cavaglià e altre “eredità Gambari” nel Biellese, e non solo. “ArcheoMedia. L’Archeologia on-line” a. XVII n. 3, 1° febbraio 2022.
  59.  Pipino G. Il Limes romano anti-Salassi dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea. “Academia.edu”, 2 settembre 2017 Id. Le evidenze del limes romano anti-Salassi fra Canaverse e Vercellese. “ArcheoMedia. L’Archeologia on- line” a. XVI n. 13, 1° luglio 2021.
  60.  Pipino G. Miniere d’oro e limes romano anti-Salassi tra Canavese, Vercellese e Biellese. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2018.
  61.  Pipino G. Miniere d’oro dei Salassi e romanizzazione del Vercellese occidentale e dell’Eporediese: una storia da riscrivere. Museo Storico dell’Oro Italiano, Ovada 2021.

fondatoreNato a Napoli il 6 agosto 1942 da padre partenopeo e madre romagnola, Giuseppe Pipino ha vissuto in varie parti d'Italia, prevalentemente a Genova e a Milano; attualmente vive in campagna nel comune di Roccagrimalda (AL).

Nel 1960 ha conseguito il diploma di Computista Commerciale presso l'Istituto Salvator Rosa di Napoli svolgendo, successivamente, attività lavorative in Romagna (Forlì, Milano Marittima) e in Liguria (Genova).  In quest'ultima regione ha iniziato ad interessarsi di minerali a livello hobbistico.articolo fondatore

Nel 1971 ha conseguito il Diploma di Maturità Scientifica presso il Liceo Enrico Fermi di Genova.

Nel 1975 ha conseguito il Diploma di Laurea in Scienze Geologiche presso gli Istituti di Geologia e di Petrografia, Mineralogia e Geochimica dell'Università di Milano, con una tesi su “I giacimenti auriferi dei laghi di Lavagnina nel Gruppo di Voltri orientale”.  In seguito ha esteso gli studi a tutto il Gruppo, prima come collaboratore del CNR, poi come consulente della Noranda, una delle maggiori compagnie minerarie del mondo.

Nel 1982 è stato inserito nel roster internazionale dell'ONU, quale esperto in “Geological and Geochemical Exploration”, ed ha eseguito studi e ricerche sui giacimenti minerari legati alle ofioliti degli emirati arabi.

Dal 1977 al 1991 è stato Amministratore e tecnico della “TEKNOGEO, Indagini Geologiche e Minerarie” ed ha eseguito prospezioni minerarie in varie zone d'Italia e all'estero in partnership con le maggiori compagnie minerarie internazionali: si è in particolare occupato di prospezione e coltivazione di depositi auriferi alluvionali, in varie parti del mondo.

Fra il 1984 e il 1986 ha scoperto le prime manifestazioni di oro epitermale (oro invisibile) in Toscana meridionale e Lazio e, come consulente dell' AGIP MINIERE, ha fornito indicazioni per il ritrovamento di analoghe mineralizzazioni in Sardegna.  In seguito ha evidenziato, e segnalato alla Soprintendenza Archeologica del Piemonte, la presenza di cumuli di ciottoli, residui di aurifodinae, nell' Ovadese, nel Canavese e nel Vercellese.

Dal 1980 al 1995 è stato redattore della Rivista Mineralogica Italiana ed ha collaborato attivamente con il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino per la compilazione dell'“Inventario Mineralogico Piemontese”.  E' autore di numerose pubblicazioni a carattere mineralogico, idrogeologico, giacimentologico e storico-minerario del territorio italiano in generale e dei territori alpino e padano in particolare.

A lui si debbono in gran parte le attuali conoscenze sulla presenza dell'oro in Italia, presenza che, nonostante i trascorsi storici, agli inizi della sua carriera era misconosciuta, sottovalutata o del tutto negata, anche a livello accademico.  A lui si deve pure lo sviluppo assunto negli ultimi anni dalla ricerca amatoriale: alla fine degli anni '70 del Novecento la ricerca hobbistica dell'oro era infatti praticata soltanto da una diecina di appassionati, distribuiti lungo i corsi d'acqua dell'area compresa fra Torino e Milano, ma in breve tempo, grazie alle manifestazioni dimostrative e alle gare di abilità da lui organizzate, subì un notevole incremento.  Le prime manifestazioni pubbliche si tennero nell'Ovadese, a partire dal 1981; con lo scopo di dimostrare agli scettici la reale presenza dell'oro e la possibilità di raccoglierlo; ad Ovada venne anche svolto, nel 1985, un Campionato del Mondo che vide la partecipazione di centinaia di appassionati, soprattutto stranieri, la cui risonanza contribuì in modo decisivo a far conoscere le potenzialità aurifere italiane.

Nel corso delle sue ricerche ha sempre curato di raccogliere e divulgare tutte le testimonianze relative alla presenza e alla raccolta dell'oro in Italia, attività che, come lui stesso ha sempre cercato di evidenziare, ha in passato avuto un importante quanto misconosciuto ruolo economico e sociale.  Nel 1981 ha costituito un primo nucleo museale, a Casalcermelli (AL), con i materiali raccolti durante le ricerche giacimentologiche e storico-minerarie sulle antiche miniere della Val Gorzente e sui depositi alluvionali dell'Orba; l'estendersi delle ricerche a tutto il bacino padano e in altre parti d'Italia gli consentirono di raccogliere molte altre testimonianze e di costituire, nel 1987, il Museo Storico dell'Oro Italiano, il tutto a sue proprie spese e senza alcun contributo pubblico.